Brand News ha incontrato Tom Goodwin, Future Leads di Publicis Groupe WW e Head of Innovation di Zenith WW, per il quale nella post digital era bisogna essere pronti a ripartire da capo, senza guardarsi indietro e dentro i confini del proprio lavoro e molto di più fuori e in avanti
L’innovazione? Ha meno a che fare con la trasformazione digitale e la ‘disruption’ e più con lo spirito con cui si affrontano i problemi e si fanno le cose. Tom Goodwin, Future Leads di Publicis Groupe WW, Head of Innovation di Zenith WW e autore di ‘Digital Darwinism’, ha un esempio molto pratico e immediato per mostrare cosa sia l’innovazione dal suo punto di vista.
Da una parte, l’invenzione dell’ascensore, che prima ha trasformato forma e dimensione dei palazzi e poi le città stesse – e in questo ci mette anche la sua passione per l’architettura che ha studiato all’Università di Sheffield contemporaneamente a ingegneria strutturale – dall’altra The Vessel, la scalinata di New York costata quasi 200 milioni di dollari e costruita “al solo scopo di farne lo sfondo di foto più instagrammabili”, racconta a BrandNews che lo ha incontrato in occasione del suo passaggio a Milano dove ha tenuto una conferenza nella sede di Publicis Groupe.
“Lavoro all’intersezione tra tecnologia, società, business e immaginazione e sono più interessato alla relazione tra persone e tecnologie e tra tecnologia e società che alla tecnologia in sé”, spiega Goodwin.
Perché parla spesso di medio evo digitale e di post digital era?
“Per mettere in evidenza la profondità del cambiamento richiesto da una dinamica industriale del tutto differente. Il medio evo digitale, per me, è il primo stadio dell’innovazione, quando semplicemente si aggiungeva tecnologia continuando a fare le cose come prima, quando mettevamo spot TV su schermi digitali senza voler immaginare cosa avrebbero potuto essere e quanto differenti. Il secondo stadio, la post digital era, ci richiede di ripartire dall’inizio, senza usare qualcosa che esiste già, pensare a come potrebbero essere advertising, marketing e business grazie a tutto quello che abbiamo a disposizione, sapendo che la vera trasformazione è costosa, lenta, politicamente non facile”.
Come si sta trasformando, dal suo punto di vista, il mondo dell’advertising e la relazione con i clienti?
“Credo sia importante guardarsi un po’ meno indietro e dentro i confini del proprio lavoro e molto di più fuori e in avanti. Dobbiamo capire il lavoro degli altri e ispirarci al futuro, consapevoli che viviamo ormai nella post digital era, un luogo dove non ci sono silos fisici in cui confinare i diversi mezzi di comunicazione perché lo smartphone è qualcosa di tutto: un po’ TV, un po’ pc, un po’ radio, un po’ quotidiano”.
Quali sono le tendenze che influiranno di più in questa post digital era?
“L’abbondanza straordinaria di cose da fare e poco tempo per farle, il che vuol dire che dobbiamo cominciare a scegliere tra ciò che ha senso per noi e ciò che è poco rilevante; la dissolvenza del concetto di digitale e l’inutilità del fare ancora distinzioni; l’intimità di un mondo in cui tutti i media diventano più piccoli e personali e che richiede una maggiore responsabilità in tutto ciò che riguarda le persone; la pervasività degli schermi digitali; la crescente contaminazione tra advertising, retail e contenuto editoriale”.
C’è una responsabilità etica della post digital era?
“Sì, sicuramente: sta nella consapevolezza, per esempio, che personalizzare non vuol dire sottrarre dati, ma aggiungere qualcosa di rilevante”.