All’evento organizzato da PHD e dall’Osservatorio Branded Entertainment con Paolo Iabichino e Daniela Della Riva si parla di come l’attenzione allo scopo di brand e aziende sia posta nell’intersezione dei grandi cambiamenti che stanno avvenendo nel marketing
Il Cluetrain Manifesto l’aveva messo nero su bianco oltre 20 anni fa, ma da molti meno l’esigenza di pensare l’esistenza delle marche al di là del generare profitti è entrata nell’agenda dei ceo e dei marketer di tutto il mondo. Di purpose, di fedeltà e fidelizzazione, di dati, di mondo ibrido si è parlato nell’evento organizzato da PHD e dall’Osservatorio Branded Entertainment con il direttore creativo Paolo Iabichino e Daniela Della Riva, chief strategy officer PHD Italia.
La tesi del Cluetrain che ‘i mercati sono conversazioni’ non è mai stata più calzante di oggi, alla luce dei cambiamento che spingono le aziende a ripensare o esplicitare più chiaramente la propria ragion d’essere e a trasmetterla in primo luogo ai propri dipendenti.
Uno shift imprescindibile secondo Della Riva, come illustrato dal libro pubblicato da PHD Worldwide “Shift. A Marketing Rethink”, che le aziende devono affrontare facendo attenzione alle scelte impulsive a breve termine prese giusto per cavalcare i temi forti del momento, all’effetto nostalgia che per quanto sia naturale cercare punti di ancoraggio in temi di crisi impedisce di accogliere il nuovo, e a non considerare i consumatori come infedeli, definizione che non ha più senso perché oggi i brand sono ecosistemi e siamo tutti consumatori sperimentatori.
«Nessun brand nasce per salvare il mondo, ma è importante avere chiaro qual è lo scopo superiore che viene prima del business. E renderlo chiaro alla stessa azienda e ai suoi dipendenti, fa si che ci si possa muovere in una direzione univoca» spiega la chief strategy officer.
Il purpose può far da collante tra i valori aziendali che vivono nel lungo termine e le azioni tattiche, fondamentali per dare risposte immediate e ottenere risultati a scaffale nell’immediato. «Il paradosso di questo periodo, che impone di agire tatticamente specie in scenari di crisi come negli ultimi anni, è che l’attenzione al purpose non è mai stata così attuale – spiega Paolo Iabichino -. Vuol dire che possiamo ancora fare soldi ma questo non deve essere l’unico fine. Muoversi tatticamente per un’azienda non significa rinunciare alla propria vocazione. Le due cose devono viaggiare su binari paralleli e ognuna deve portarsi dietro quel che di buono c’è dell’altra».
Fedeltà e fidelizzazione. Secondo Iabichino il marketing ha sempre guardato la fidelizzazione come la stella polare, anche in modo ossessivo ed esasperato grazie ai big data, ma ha però mancato l’appuntamento con la fiducia, che viene concessa quando c’è assonanza di valori tra marca e consumatore. “Le persone non sono chiamate a consumare ma a scegliere le marche per la bontà dei valori che mettono in scena. Questo genera fiducia, che è diversa dalla fidelizzazione”. L’uso del dato sarà sempre fondamentale, ma per ottenere i quelli più preziosi i brand devono lavorare sulla fiducia affinché vengano loro concessi.
La narrazione del purpose deve essere necessariamente preceduta da azioni effettive o da obiettivi raggiunti o raggiungibili. Altrimenti meglio lasciar perdere. Sempre secondo Iabichino bisogna privilegiare l’azione e misurare secondo KPI che descrivano quanto effettivamente l’azienda è stata capace di fare consumer activism e non solo dichiarazioni di intenti. «Prima di tutto viene l’azione, è quello che chiede il consumatore – aggiunge Daniela Della Riva -. E senza azione dietro, le storie non sono credibili».
La decentralizzazione dell’influenza è un altro dei grandi shift della contemporaneità, con i consumatori che si influenzano vicendevolmente scavalcando i brand. Oppure capita che siano gli stessi consumatori a chiedere alle aziende, in situazioni di emergenza, di scendere nel sociale e prendere impegni concreti collaborando anche tra competitor.
Il metaverso, infine, esiste già. Ma non va usato in modo tattico solo per dire di fare innovazione fine a se stessa. «Se è usato in modo intelligente e coinvolgente, collegandolo in maniera continuativa a tutto il resto allora è il momento giusto per approfittare dello shift» commenta Della Riva.
Interpretarlo come un nuovo spazio media è il modo peggiore per approcciarlo, aggiunge Iabichino. «Gli Z vivono già in modo ibrido. La realtà di oggi è già ibrida, dalla dad alla guerra, le cui vittime si conteranno anche tra quelle sociali, migratorie, economiche. Dobbiamo abbracciare il concetto di ibrido come condizione esistenziale, che riguarda politica, scuola, mobilità, e smetterla di polarizzare».