L’ipervelocità e la scarsa concentrazione delle nuove generazioni impongono formati sempre più brevi
Mai una gioia. Se lunedì Tim Leaks della RPA di Los Angeles intimidiva i pubblicitari auspicando una comunicazione brutta, ieri Andrew Robertson teorizzava e terrorizzava predicando la riduzione dei video a formati brevissimi.
Il discorso non fa una piega: sempre rispettando il dogma ‘people first’, e considerato che la soglia d’attenzione del pubblico sui nuovi dispositivi sta crollando clamorosamente (cos’altro pretendere da velocisti che ogni giorno scrollano sui loro smartphone di 10 centimetri in media 100 metri di immagini e notizie?), l’Interactive Advertising Bureau reputa “impressioni visibili” solo gli annunci di cui appare sullo schermo per più di un secondo almeno il 50% del contenuto.
E qui si fa veramente dura. Certo, Robertson ha mostrato virtuosi esempi di chi è riuscito nell’impresa (carina la Land Rover “stronger” che trascina via il frame dallo smartphone svelandone i circuiti sottostanti, leggerino l’aeroplano Lego che attraversa lo schermo invitando all’immaginazione, simpatico il tipo che lecca avidamente il dito dell’amico che sta mangiando i Doritos); ha consolato la platea gremita suggerendo di utilizzare la scorciatoia di format già conosciuti che non necessitino di premesse narrative; stuzzicato l’orgoglio dei creativi spronandoli a migliorare la creatività perché l’esigenza di grandi idee è diventata sempre più ineludibile. Però questa sua raccomandazione che si capisca tutto nel più breve tempo possibile finisce con il penalizzare pesantemente lo storytelling, finora considerato intangibile.
Ma forse le regole stanno per cambiare, e Robertson ne ha delineato di nuove: “Oggi la creatività è la magica abilità di catturare e mantenere l’attenzione del pubblico mentre gli diamo informazioni, dimostrazioni o esperienze che cambino il suo modo di pensare, sentire e soprattutto agire”.
In compenso, Robertson ha dimostrato brillanti doti di copywriting quando ha definito sinteticamente ‘Print that moves’ questo nuovo standard ristretto, ma soprattutto quando per presentare il suo speech lo ha intitolato: “Do You Have A Second? Oops, too late”.