L’avvocato Gilberto Cavagna di Gualdana dello studio legale Bipart ha approfondito l’argomento dei brand dinamici e la loro possibile tutela legale con la collaborazione di Emanuele Cappelli, designer e fondatore di Cappelli Identity Design e autore del libro “Dynamic brand. The new methodology of brand communication” edito da Skira
“Le persone cambiano così come cambiano anche le relazioni tra loro. Cambiano allo stesso modo anche le relazioni tra le persone e i brand”. È da questa riflessione che Emanuele Cappelli, designer e fondatore di Cappelli Identity Design, nonché autore del libro “Dynamic brand. The new methodology of brand communication” recentemente edito da Skira, ha sviluppato il concept di brand dinamico.
“Il concetto di brand dinamico nasce da un’attenta analisi della situazione sociale, a partire dall’introduzione dei social network e dal desiderio di codificare un metodo che permettesse di mettere insieme anni di analisi, sperimentazione e ricerca condotti dal noto Design Studio”, evidenzia infatti Cappelli, “Con la divulgazione di internet e l’uso dei social network (Facebook, 2004) il brand è rimbalzato dal billboard alla televisione, per atterrare dentro lo smartphone e anche l’architettura organizzativa delle informazioni è cambiata di conseguenza, travolgendo lo schema verticale che aveva caratterizzato la comunicazione sino ad allora, portando tutto ad una reale integrazione”.
Così definito, il brand dinamico è l’evoluzione del concetto di brand identity che si sviluppa attraverso tutti i linguaggi strategici di comunicazione, sia vecchi che nuovi.
Più in particolare, come ribadito da Cappelli al TEDx Modena del 2022, “Il Dynamic brand mette al centro i valori aziendali e visivamente fa leva sul sistema di identità. Il logo viene portato fuori, deresponsabilizzato e funziona al pari degli altri media per dare vita ad una comunicazione coerente. E in questo modo viene ottimizzato anche il budget di investimento che così può essere destinato ad attività di ricerca e sviluppo”. Gli elementi costitutivi del brand dinamico delineato da Cappelli sono: (i) forme (o immagini), (ii) font e (iii) colori.
Google è un buon esempio di società capace di accreditare un proprio brand dinamico partendo dai suoi famosi “doodles” (per la “collezione” completa si veda: www.google.com/doodles/) per arrivare a declinare la propria identità avvalendosi dei soli propri colori distintivi e nella sequenza che caratterizza le lettere della società, fin dai tubi delle proprie sale tecniche per arrivare a caratterizzare gli spazi della nuova sede di Londra in Buckingham Palace Road, progettata dallo studio di interior design Scott Brownrigg, dove il logo/marchio, come comunemente inteso, si perde e diluisce sulle pareti degli uffici
Ma il brand di Google rimane riconoscibile, immediatamente percepito e riconosciuto, anche senza logo.
Si pensi anche alle campagne realizzate da Armando Testa per Esselunga, nota catena di supermarket, caratterizzate dalle ironiche raffigurazioni degli ortaggi in diversi contesti, che ben saprebbero richiamare il brand anche senza riprodurne il marchio.
Del resto “In the industrial age, a logo was just a signature. It should be a message” (Marc Gobé, Brandjam: Humanizing Brands Through Emotional Design, 2007).
Cappelli ricostruisce molto bene presupposti, elementi e finalità del brand dinamico nell’omonimo libro, e ne riassume le connessioni e interazioni nel prospetto sotto riprodotto.
Le pagine del libro raccolgono l’esperienza maturata da Cappelli in questi anni in cui lo studio ha sviluppato numerosi Brand dinamici, divenuti vere e proprie icone e casi di successo, come per Geores, società che offre servizi integrati di geologia, geotecnica, geofisica e geomatica applicati all’ingegneria civile e all’archeologia urbana, primo esempio in assoluto di brand dinamico in Italia nel 2010.
Il primo caso per la pubblica amministrazione si è registrato con il Comune di Venezia nel 2012. L’iniziativa dedicata all’arte e al turismo che metteva in comunicazione gli oltre trenta musei, tra pubblici e privati, presenti sulla Laguna. Il breakeven dell’iniziativa si è raggiunto in otto mesi contro i ventiquattro previsti. Questo dimostra come la coerenza della comunicazione e la variabilità all’interno di linguaggi ben definiti, permetta di unire anche realtà profondamente diverse che hanno vicinanza valoriale.
Durante il Festival del cinema di Cannes 2019, alla 72ma edizione e per la prima volta, il concept è stato rappresentato addirittura da una performance live. Come dire che l’idea di brand che molti di noi ancora hanno in realtà è obsoleta. Oggi l’aspetto emozionale e valoriale è in primo piano rispetto alla parte rigida, chiusa e speculativa. L’aspetto valoriale è primario e permette crescite anche di fatturato oltre che di reputazione.
All’estero, una delle prime società a adottare un marchio dinamico, anche se in una concezione (all’epoca quasi necessariamente) bidimensionale, è stata, alla fine degli anni Sessanta, Hadfields Paint, società inglese attiva nel mercato delle vernici, con la sua iconica volpe riprodotta in diverse pose sulle latte dei prodotti.
Più “dinamiche”, e con effetti più incisivi e diffusi, quasi memorabili sono state le storiche campagne internazionali della vodka Absolut.
Come emerge dagli esempi sopra riportati, il brand dinamico consente non solo di declinare un marchio su diverse superfici, sui prodotti e nella comunicazione, ma anche di evocarlo tramite la presenza di forme (o immagini), font e colori (o almeno due di questi elementi), senza perdere i connotati caratteristici, e costituisce un efficace elemento distintivo, capace di significare con chiarezza la provenienza imprenditoriale dei prodotti e servizi; oltre che, consentire un risparmio e una ottimizzazione del budget di investimento in ambito pubblicitario, che può essere così utilizzato per favorire la ricerca e lo sviluppo (quanto mai necessarie in questo momento storico).
Norme consolidate e spinte innovative
Non esiste ancora una definizione condivisa di brand dinamico, quanto meno dal punto di vista giuridico, e, sino ad ora, anche la dottrina e la giurisprudenza si sono occupate in verità poco e niente di questo fenomeno.
Il brand dinamico è stato definito – per lo più oltre oceano – come “marchio fluido”, intendendo con tale definizione un marchio che “implica la creazione e l’uso di una varietà di varianti diverse e frequentemente mutevoli che coesistono insieme al marchio originale e che, sebbene mantengano alcune caratteristiche del marchio sottostante, includono nuovi elementi di design” (Perry J. Viscounty, Jennifer L. Barry e David B. Hazlehurst, Fluid trademarks: all fun, or some risk? [1]).
In dottrina (cfr. Lisa Pearson, Fluid Trademarks and Dynamic Brand Identities, in The Trademark Reporter, INTA – International Trademark Association, Vol. 104 No. 6, Nov.-Dec. 2014) i “marchi fluidi” sono stati classificati per le diverse decorazioni, come quelli di Google, per la reinterpretazione a seconda dei mezzi, come quelli di Absolute. Un’altra delle categorie previste è quella dei marchi “ever-changing”, ovvero capaci di adattarsi a diverse situazioni, come ad esempio quelli di MIT Media Lab che “permits each of its constituents to create his or her own signature logo” (cfr. Lisa Pearson, O. cit., p. 1428) ora sostituiti dai nuovi realizzati da Pentagram.
In tutti i casi, nonostante la fluidità del segno, come emerge chiaramente da un esame anche superficiale dei brand riportati, i Brand dinamici non perdono il loro carattere distintivo.
Anzi, se possibile lo rafforzano.
La (possibile) tutela legale dei brand dinamici
La fluidità di tali marchi, se da un lato rappresenta uno dei motivi di successo, certamente dall’altro può costituire una complicazione dal punto di vista dell’inquadramento giuridico della disciplina dei marchi, tradizionalmente ancorata a registri di raffronto, e obbliga l’interprete ad uno sforzo ermeneutico di interpretazione ed applicazione delle norme, anche sulla base dei principi e della ratio costitutiva delle stesse, pur nella convinzione che una certa intrinseca elasticità delle norme e un’opportuna apertura dell’ordinamento alle novità tecnologiche e alle diverse funzioni del marchio consentono di accordare anche a tali segni la tutela prevista per i marchi “tradizionali”.
Come rilevato dalla dottrina americana più attenta, “The key to retaining trademark protection for fluid marks is to focus on the source-identifying pillars of a brand and strive to keep them consistent” (cfr. Lisa Pearson, Fluid Trademarks: Dynamic Brand Identities for Dynamic Times, Association of Corporate Counsel, 2017, reperibile qui).
I marchi dinamici, in quanto segni distintivi, presentano infatti di solito almeno uno degli elementi caratterizzanti – che Cappelli individua in forme (o immagini), font e colori – che consentono ai consumatori di riconoscere la provenienza di prodotti e servizi; una sorta di sistema di identità, un linguaggio complessivo, non più rappresentabile da un singolo segno grafico come può essere un logo.
Così, ad esempio, i “doodle” di Google mantengono la maggior parte degli elementi di base, per il MIT le greche, sebbene scomposte e ricomposte, richiamano l’Istituto senza bisogno di ulteriori menzioni.
Un esempio significativo è altresì la nuova immagine di Enel disegnata da Wolff Olins dove, anche in assenza di logo (che pur rimane nella comunicazione più tradizionale, nella configurazione riprodotta sotto) il sistema di identità permette la completa riconoscibilità in tutte le sue applicazioni, come ad esempio le infografiche.
Gli elementi che compongono un brand dinamico (forme o immagini, font e colori) possono costituire il cuore di uno o più marchi registrati[2] e, in quanto tali, possono essere depositati – a livello italiano o internazionale – rivendicando i prodotti e/o servizi di interesse, come marchi denominativi, figurativi o misti o, sussistendone i presupposti, anche come marchi di forma o marchi di movimento, ovvero quel marchio “costituito da un movimento o da un cambiamento di posizione degli elementi del marchio o comprendente tale movimento o cambiamento”, da rappresentare attraverso un file video oppure tramite una serie di immagini statiche in sequenza che illustrano il movimento o il cambiamento di posizione (che possono essere numerate o accompagnate da una descrizione esplicativa della sequenza).
La tutela del marchio registrato è molto efficace, consente di beneficiare di presunzioni di validità, e comporta l’ottenimento di una privativa rinnovabile per periodi di dieci anni (potenzialmente all’infinito). Il marchio, secondo quanto disposto dal D. lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 e succ. mod. (il codice di proprietà industriale; di seguito “CPI”) conferisce infatti al titolare la facoltà di fare uso esclusivo del marchio e il diritto di vietare a terzi di utilizzare nell’attività economica un segno identico al marchio registrato per prodotti o servizi identici, un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi identici o affini, qualora vi sia rischio di confusione per il pubblico, e l’uso del segno identico o simile al marchio registrato rinomato anche nel caso di prodotti o servizi non affini, qualora tale utilizzo crei un indebito vantaggio dovuto alla rinomanza o arrechi un pregiudizio al legittimo titolare (art. 20 CPI); il giudizio di confondibilità presuppone una valutazione globale e tiene conto del “cuore” del marchio, ovvero dell’elemento distintivo, quello che più rimane impresso, basato sull’esame delle differenze e più ancora delle assonanze, visive, fonetiche e concettuali dei marchi in questione (che in qualche misura richiamano, anche con qualche sovrapposizione, gli elementi individuati da Cappelli per i brand dinamici: forme o immagini, font e colori).
La forte caratterizzazione permette poi ai marchi dinamici di beneficiare di maggiore tutela conseguente all’accresciuta estensione della riconoscibilità del segno. A maggior ragione se il marchio in questione è un marchio forte, senza collegamenti concettuali con il prodotto (come nel nostro caso; una forma umanoide per profumatori; così come un levriero per libri, una volpe per vernici o il contorno di una bottiglia per una vodka; qualcosa di “mai visto” e che rimane impresso).
Eventuali registrazioni possono accrescere l’efficacia della tutela per alcune pose; è evidente, tuttavia, che la tutela dei marchi fluidi presuppone, quasi necessariamente, proprio per il numero delle diverse pose possibili (per altro quasi infinito), il ricorso alla tutela dei marchi di fatto (a meno che il titolare non voglia incorrere in depositi per ogni diversa situazione/modifica, con i costi insostenibili che tale scelta comporterebbe).
I marchi non registrati, ma di fatto utilizzati, sono tutelati in base all’articolo 12 co. 4 CPI. La fattispecie costitutiva del marchio di fatto è l’acquisizione di una notorietà sul territorio nazionale tramite un uso effettivo del segno, che comporti la concreta possibilità per il mercato di riferimento di associare tale marchio a un determinato prodotto.
I requisiti del marchio di fatto coincidono con quelli del marchio registrato. L’esistenza di un marchio di fatto con notorietà generale inficia inoltre la notorietà del marchio identico o similare che sia registrato successivamente per prodotti identici o affini (artt. 12, co. 1 lett. a e 25 lett. a CPI); al contrario un marchio che sia utilizzato puramente a livello locale o con modalità tali da non comportarne la notorietà, non preclude la possibilità di registrare un marchio successivo valido. Un preuso locale del marchio non riconosce in capo al titolare un diritto esclusivo, ma solo il diritto di perpetuare l’uso limitatamente all’ambito locale in cui tale marchio si sia diffuso, e determina l’invalidità anche del marchio di fatto successivo, sia esso a carattere locale o con notorietà generale.
Spesso i marchi dinamici possono costituire anche una c.d. “famiglia di marchi”, ovvero un insieme di marchi caratterizzati tutti da un elemento comune. Il richiamo esemplificativo solito è al suffisso “Mc” utilizzato per hamburger e prodotti correlati (McChicken, McToast, ecc.), che subito rimanda ai prodotti di McDonald (in tal senso, la sentenza del Tribunale UE del 5 luglio 2016, causa T-518/13). Se la giurisprudenza sinora ha riconosciuto famiglie di marchi essenzialmente per la presenza di suffissi comuni (in tal senso anche la Decisione UIBM n. 128/2014,), nulla osta che l’elemento ricorrente sia una forma od un altro elemento, ripetuto, anche se evidentemente declinato, così come il suffisso si accompagna ad altre parole/desinenze. Le famiglie di marchi beneficiano di una tutela ampliata; ciò in quanto, il consumatore, in presenza di marchi così correlati, facilmente potrebbe ingannarsi sull’origine dei prodotti, essendo portato a ricondurre tutti i marchi con lo stesso elemento alla stessa fonte produttiva o a fonti produttive collegate da rapporti commerciali ed economici.
In altri casi l’elemento distintivo è costituito da un particolare configurazione grafica e, financo, dalla caratterizzazione e dalla personalizzazione del marchio, che diventa quasi un character autonomo e riconoscibile, come nel caso della volpe di Hadfields Paint (anche se forse questo segno pecca di personalità) o, più di recente, gli omini stilizzati di Joy che ne caratterizzano i prodotti e sono divenuti un vero e proprio personaggio dalla forma antropica simpatica capace di “vivere” nei nostri ambienti e di interagire con i consumatori.
I disegni e la caratterizzazione, così come i character, sono tutelati come opere dell’ingegno dalla legge 22 aprile 1941 n. 633 e succ. mod. (la legge sul diritto d’autore).
La riproduzione totale o parziale degli elementi creativi di un’opera dell’ingegno altrui, così da ricalcare in modo “parassitario” quanto da altri ideato e quindi espresso in una forma determinata e identificabile, senza consenso e attribuendosene la paternità, costituisce pertanto una violazione dei diritti d’autore, sia patrimoniali che morali.
Nel giudizio di comparazione tra l’opera plagiata e l’opera plagiaria, occorre verificare che quest’ultima sia priva di un cd. scarto semantico, idoneo a conferirle un proprio e diverso significato artistico rispetto all’altra; “in sostanza, è necessario che l’autore del plagio si sia appropriato degli elementi creativi dell’opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso in forma determinata e identificabile” (Cass. 14 luglio 2017, n. 2039).
L’esame tra le due opere, secondo quanto ricordato dalla Corte di Cassazione sopra menzionata, “deve seguire una valutazione complessiva e sintetica, non analitica, incentrata sull’esame comparativo degli elementi essenziali delle opere da confrontare, dovendosi cioè valutare il risultato globale o l’effetto unitario”, tenendo presente che “non sono sufficienti originalità di mero dettaglio dell’opera plagiaria” (Cass. 15 giugno 2012, n. 9854; 28 novembre 2011, n. 25173; 27 ottobre 2005, n. 20925; 10 marzo 1994, n. 2345; 10 maggio 1993, n. 5346), permanendo infatti “il plagio anche quando esso sia “camuffato” (o “mascherato”) mediante varianti solo apparenti” (Cass. 14 luglio 2017, n. 2039).
La tutela autoriale sorge con la creazione, senza bisogno di alcuna registrazione, e dura sino al termine della vita dell’autore e per i successivi 70 anni. Eventuali depositi presso la SIAE o gli altri enti privati di recente costituzione che prevedono tale possibilità non sono costitutivi dei diritti d’autore, ma possono servire a comprovare la titolarità ad una certa data. In tal senso, di aiuto potranno essere le nuove tecnologie, NTF e blockchain innanzitutto, con la loro intrinseca capacità di “certificare” certe opere, e quindi anche i brand, senza peraltro limiti stringenti di spazio, e la costituzione di un NFT o l’inserimento all’interno della blockchain di una brand dinamico potrà sicuramente essere di aiuto per il suo titolare per far valere i propri diritti in seguito, comprovando eventuali anteriorità, disponibilità ed estensione del brand in questione.
Quanto alla possibilità di cumulare le due tutele – diritto d’autore e di marchio – la dottrina e la giurisprudenza sono sostanzialmente favorevoli, tenendo tuttavia presente che la legge dispone che non possano costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente da una forma che dia “un valore sostanziale al prodotto” (art. 9 CPI), ovvero che l’acquisto del prodotto / servizio sia influenzato dal valore della sua forma estetica, rendendo la forma uno dei fattori essenziali per la scelta di acquisto.
Se il “Brand dinamico” costituisce anche l’aspetto di un prodotto, esso può costituire infine oggetto di registrazione come disegno o modello[3], – tutelato come registrazione nazionale o/e come registrazione europea in funzione dell’estensione territoriale che si desidera riconoscere alla tutela, la cui durata è di cinque anni dalla data di presentazione della domanda e risulta prorogabile per ulteriori periodi di cinque anni fino a un massimo di venticinque anni a partire dalla data di presentazione della domanda stessa (art. 37 CPI) – o di fatto, con limiti, di tutela e di tempo – limitata a un anno dalla prima divulgazione – tuttavia più stringenti.
Tutte tutele che, sussistendone i requisiti di concorrenzialità tra gli operatori, si sovrappongono anche a eventuali profili di concorrenza sleale, vietata dall’art. 2598 codice civile, vero e proprio architrave per garantire una corretta competizione tra gli imprenditori e limitare iniziative parassitarie volte ad appropriarsi del prestigio e della fama acquisita – spesso nel tempo e con grandi sforzi finanziari – in primis proprio per accreditare il brand – dai concorrenti.
Conclusioni
“Nell’ambito della comunicazione identitaria di una azienda, ente, istituzione è quindi fondamentale recuperare la dimensione umana: proprio all’interno di questa dinamica anche il logo assume una diversa dimensione diventando un segno vivo, che respira, in grado di interagire con le persone. Non più con il consumatore, ma con le persone” così ha ricordato Emanuele Cappelli all’ADI Design Museum.
La vitalità del segno non è, di per sé, un ostacolo alla sua tutela, anche come attualmente riconosciuta dall’ordinamento.
Grazie infatti alle diverse privative riconosciute dal nostro ordinamento (marchi, design, opere protette dal diritto d’autore) e ad una certa intrinseca elasticità delle norme (in primis quelle volte a tutela la leale concorrenza tra imprenditori), accompagnata da una sempre più opportuna apertura dell’ordinamento alle novità tecnologiche, anche i Brand dinamici possono ricevere un’opportuna tutela. In attesa, chissà mai, di una protezione più specifica.
Si ringrazia Emanuele Cappelli e Fabio Zanino di Cappelli Identity Design per il fattivo e propositivo coinvolgimento e lo stimolante confronto nella redazione di questo contributo.
Avv. Gilberto Cavagna di Gualdana – Bipart Studio Legale
[1] La versione originale della definizione è: “Fluid marks involve the creation and use of a variety of different, frequently changing variations of a particular trademark, which variations coexist alongside the original mark. These variations typically retain certain features of the underlying mark but include new design elements”.
[2] I requisiti minimi inderogabili per la registrazione del marchio sono la sua capacità distintiva, la sua rappresentabilità grafica (art. 7 CPI) e la sua liceità e non decettività (art. 14, co. 1, lett. a e b CPI); inoltre, il marchio deve essere caratterizzato da novità (art. 12 CPI) e non deve violare l’altrui diritto d’autore, di proprietà industriale o un altro diritto esclusivo di terzo (art. 14, co. 1, lett. c CPI). Vi sono inoltre dei limiti alla registrazione come marchio di ritratti di terzi, nomi di persona diversi da quelli di colui che chiede la registrazione e di nomi e segni notori (art. 8 CPI).
[3] Quando sia nuovo ed abbia carattere individuale (ovvero l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce dall’impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato in precedenza; art. 31 CPI) e lecito (art. 33 bis CPI). Non possono però costituire oggetto di registrazione le caratteristiche dell’aspetto del prodotto che siano determinate unicamente dalla funzione tecnica svolta dal prodotto, così come “le caratteristiche dell’aspetto del prodotto che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per potere consentire al prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato di essere unito o connesso meccanicamente con altro prodotto, ovvero di essere incorporato in esso oppure intorno o a contatto con esso, in modo che ciascun prodotto possa svolgere la propria funzione” (art. 36 CPI).