Tra le tendenze emergenti spicca una rinnovata enfasi sul progetto. E nella corsa alla ‘next big thing’, mai proporla prima di sperimentarla nella vita vera. Così spiega Mark Fitzloff, partner ed executive creative director di Wieden + Kennedy, che sarà a Cannes Lions presidente della giuria Titanium & Integrated
Quali sono secondo te i trend più importanti e i fenomeni emergenti quest’anno nella comunicazione?
«Negli ultimi anni abbiamo lasciato un mondo di marketing fatto di messaggi o intrattenimento per entrare in un nuovo modello di marketing come servizio. Sembra che il punto dove queste due discipline si intersecano, e dove ci stiamo dirigendo adesso, sia il design. E questa è la tendenza che io vedo emergere: una rinnovata enfasi sul progetto. Inoltre, credo e spero che ciò ci permetterà di riportare il mestiere nel lavoro creativo. Una delle campagne che mi vengono in mente a questo proposito è quella realizzata da Wieden+Kennedy London per Chambord. Questo lavoro non solo riflette l’abilità creativa, ma è anche un grande esempio di un progetto incredibilmente puro scaturito direttamente dal prodotto. Il risultato: una campagna di responsive design semplice e iconica».
Il numero di touch-point oggi disponibile e la varietà di espressioni della comunicazione di marca richiede nuove capacità professionali – designer, sviluppatori, sceneggiatori, architetti e altri ancora – che non sono abitualmente disponibili all’interno delle agenzie; d’altro canto, questi, presi singolarmente, spesso non hanno una cultura di marca. In che modo questo fenomeno influisce sul lavoro creativo?
«Wieden+Kennedy ha avviato il primo incubatore di start-up hi-tech nell’industria pubblicitaria nel 2009. Lo abbiamo fatto con due obiettivi in mente: costruire una connessione con la sempre più ampia ‘tech community’ di Portland, in Oregon, e per diventare, sperabilmente per una sorta di osmosi, noi stessi un’agenzia più orientata alla tecnologia. Il primo obiettivo lo abbiamo raggiunto. Oggi il Portland Incubator Experiment (PIE) di Wieden+Kennedy è ampiamente riconosciuto come il leader regionale nella comunità delle start-up. Attenzione, non quella delle agenzie di pubblicità, ma proprio quella delle start-up. Per questo motivo, W+K è l’agenzia che meglio conoscono e di cui più si fidano. Inoltre, da punto di vista finanziario, W+K oggi detiene quote azionarie in un rispettabile portafoglio di aziende tecnologiche che sono state incubate nel PIE. Per quanto riguarda il secondo obiettivo, considerato retrospettivamente era un po’ naif. Non puoi semplicemente inserire una start-up nel processo del tuo lavoro e sperare che accada qualcosa di magico. È un po’ più difficile di così e dovremmo fare cambiamenti nel cuore stesso del nostro business che sono un po’ troppo numerosi per essere elencati qui».
Che siano multinazionali o PMI, i clienti vogliono efficacia ed efficienza, ma non vogliono spendere per gli extra: come riuscire a motivarli a provare innovazioni potenzialmente strategiche che però, come tutte le innovazioni, non sono del tutto testate?
«Ai ‘vecchi tempi’ eravamo abituati a dire che i clienti avevano tre opzioni per un lavoro creativo: veloce, a poco prezzo o buono. Oggi hanno ancora una scelta simile, tra tradizionale, innovativo o a poco prezzo. Noi continuiamo a proporre loro di scegliere e, proprio come in passato, essi sembrano non preoccuparsene e felicemente continuano a insistere per averle tutte e tre».
Cosa rappresentano i big data per la creatività: un dittatore, uno psichiatra, un compagno di giochi o un partner?
«Per me nessuno di questi. Come metafora, preferirei “un inquietante sconosciuto che si presenta costantemente alla porta di casa mia, non invitato, con intenzioni altamente sospette”».
I premi Titanium mostrano una grande varietà di progetti – prodotti, interfacce, app, touch point, ecc. : in qualità di presidente di questa giuria a Cannes e nel lavoro di tutti i giorni in agenzia come fai a gestire questa straordinaria libertà e le infinite possibilità che schiudono con le necessità di business ed efficienza?
«Oggi, più che mai, ci sforziamo di ottenere chiarezza. La pressione che deriva dall’ascoltare esperti del settore e pronosticatori è davvero schiacciante. E quando hanno ragione (che è da qualche parte tra “quasi mai” e “mai”), ecco che la nostra industry si muove comunque alla rincorsa della ‘next big thing’. Ciò che io cerco di fare è rendere tutto più personale: di essere più consapevole del modo in cui io stesso acquisto qualcosa, di come i miei amici al di fuori del settore pubblicitario utilizzano le piattaforme social, di come la mia famiglia consuma i media, di come mia figlia di 13 anni e mio figlio di 10 interagiscono con la tecnologia. Rivendicare competenze su qualcosa di cui non hai una vera, personale esperienza umana è da irresponsabili».