Nei 60 mercati presi in esame dalla ricerca di Nielsen, le fasce d’età maggiormente propense a pagare di più per la sostenibilità sono quelle dei Millennials (21- 34 anni) e della generazione Z (15-20 anni). La sostenibilità dei beni di largo consumo è ormai un requisito essenziale
In Italia i consumatori disposti a pagare un premium price per brand sostenibili sono il 52%, in sensibile crescita dal 44% del 2013 e dal 45% del 2014. A livello globale il dato sale al 66%, in crescita accelerata di 11 punti percentuali rispetto al 2014 e di 16 punti dal 2013. In Europa il dato si attesta al 51% (2014 40%; 2013 37%). A livello globale, le aziende impegnate nella sostenibilità ambientale e sociale hanno fatto registrare nel 2015 una crescita del fatturato pari al 4%, a differenza di quelle scoperte su questo versante, il cui giro d’affari è incrementato meno dell’1%. Il 65% delle vendite totali nel largo consumo provengono da marche impegnate con l’ambiente o il sociale.
Sono questi alcuni dei dati che emergono dalla Nielsen Global Survey of Corporate Social Responsibility and Sustainability condotta su un campione di 30.000 individui in 60 Paesi.
Nei 60 mercati presi in esame, in media le fasce d’età maggiormente propense a pagare di più per la sostenibilità sono quelle dei Millennials (21- 34 anni) e della generazione Z (15-20 anni). La prima si posiziona al 73% nel 2015 (in crescita del 50% rispetto al 2014), la seconda al 72% (era il 55% nel 2014).
Mettendo a confronto la disponibilità finanziaria dei consumatori attenti alla sostenibilità emerge un dato sorprendente a livello globale. Infatti sono maggiormente disposti a pagare di più per il prodotto con brand sostenibile quanti guadagnano 20 mila dollari all’anno rispetto a coloro che dichiarano entrate per 50 mila (68% vs. 63%).
“I consumatori – ha dichiarato l’amministratore delegato di Nielsen Italia Giovanni Fantasia commentando i contenuti della survey – hanno raggiunto un grado di responsabilità sociale e ambientale determinante anche nel momento dell’acquisto. Nello stesso tempo, si attendono il medesimo impegno da parte dei produttori. Per questo motivo la sostenibilità dei beni di largo consumo è da considerarsi non più solo un valore aggiunto del prodotto e del brand, bensì un requisito essenziale. Non si può parlare della sostenibilità come di un semplice differenziale di marketing. Essere sostenibili comporta per l’azienda il consolidamento della fedeltà alla marca, soprattutto quando il cliente appartiene alla fascia dei Millennial e della generazione Z, particolarmente attente a questi aspetti nel momento in cui si avvicinano allo scaffale. Ambiente, impegno sociale, freschezza degli ingredienti sono le declinazioni dell’unico concetto di sostenibilità, che posiziona l’azienda come big player sia a livello nazionale sia globale grazie alla reputazione acquisita dal marchio”.
Nel Nord America la quota dei consumatori propensi a pagare un prezzo superiore per l’acquisto di prodotti sostenibili è più contenuta (44%), soprattutto rispetto a quanto rilevato nei mercati emergenti, dove i tassi di crescita sono molto più elevati con conseguente stress su ambiente/società. Infatti nel Sud America si cresce fino al 71%, in Africa e Medio Oriente/Pakistan al 75%, per raggiungere il massimo tra i consumatori di Asia Pacifico e Sud Est Asiatico (76% e 80% rispettivamente).
La sostenibilità di un prodotto si declina in diversi fattori, emerge ancora dalla ricerca, che a loro volta costituiscono altrettanti driver d’acquisto. In Italia la freschezza e la presenza di ingredienti naturali/biologici incide per il 61% nel comportamento davanti agli scaffali. Il beneficio salutistico per il 53%.
In merito, si sottolinea che il comparto del biologico a totale Paese nel marzo 2015 ha fatto registrare una crescita del 14% sull’anno, generando un giro d’affari di 866 milioni di Euro, gli alimenti gluten free +31% (101 milioni), quelli senza grassi +10% (25 milioni), il comparto dell’integrale +11% (235 milioni).
La fiducia nel brand, nella classifica dei driver di sostenibilità nel nostro Paese, si posiziona al 53%. Al 41% si riscontra il fatto che la società produttrice sia eco-friendly, al 38% che il packaging sia a basso impatto ambientale, al 33% che il brand sia impegnato nel sociale, al 31% il fatto che l’azienda abbia un impatto positivo sulla comunità territoriale locale.
L’impegno etico, uno degli aspetti della sostenibilità, diventa premiante anche nel messaggio pubblicitario: se il 17% ha acquistato per avere visto l’adv televisivo di un prodotto, la percentuale sale al 21% se il messaggio contiene riferimenti alla sostenibilità dell’operatività della marca.
A livello globale la scala dei fattori “sostenibili” che inducono all’acquisto è la seguente: il 62% dichiara di preferire i prodotti di brand di fiducia, il 59% i prodotti che hanno aspetti salutistici, il 57% sceglie in base alla freschezza e agli ingredienti naturali, il 45% preferisce le aziende produttrici sensibili alle istanze ambientali, il 43% le aziende impegnate nel sociale, il 41% utilizza come parametro il packaging non inquinante, sempre il 41% il fatto che il produttore impatti positivamente sulla comunità locale, il 34% si fida dell’adv televisivo del prodotto contenente messaggi rivolti alla società e all’ambiente.
Se a questi dati si affianca la classifica di quanti, oltre ad essere attenti ai fattori sostenibili dei prodotti, si dichiarano disposti a spendere di più per gli stessi, le percentuali salgono: il 72% pagherebbe un premium price per prodotti di brand affidabili, il 70% per prodotti in linea con le esigenze di salute e benessere, il 69% per prodotti freschi e fatti da ingredienti naturali, il 58% se l’azienda produttrice è eco-friendly, il 56% se è impegnata nel sociale, il 53% se il packaging è a basso impatto ambientale, stesso dato se l’azienda ha implementato iniziative a favore della comunità locale, il 45% se l’adv televisivo veicola messaggi positivi mirati alla società e all’ambiente.