Perplexity ha iniziato a introdurre la pubblicità nel suo chatbot a metà novembre, in collaborazione con partner come Indeed, Whole Foods Market, Universal McCann, PMG
Al contrario di quanto fatto dalla rivale più piccola Perplexity, che da novembre sta già sperimentando l’introduzione della pubblicità nell’interfaccia di consultazione del suo chatbot di AI, OpenAI non avrebbe alcuna fretta. Ma la pubblicità è una fonte di ricavi che fa gola alla società di prodotti di intelligenza artificiale.
Lo ha detto al Financial Times Sarah Friar, la Chief Financial Officer di OpenAI, specificando tuttavia che la società, “aperta all’esplorazione di altre fonti di reddito in futuro”, non ha al momento piani attivi per introdurre la pubblicità.
Il gruppo, valutato 150 miliardi di dollari e che a ottobre ha ottenuto 6,6 miliardi di nuovi finanziamenti, ha recentemente assunto persone con esperienza pubblicitaria maturata in big tech come Meta e Google e ne ha anche la stessa Friar, che in passato ha lavorato in aziende come Nextdoor, Square e Salesforce, nonché il Chief Product Officer Kevin Weil, che in Instagram e X ha guidato lo sviluppo di prodotti supportati dalla pubblicità. A maggio inoltre OpenAI ha assunto Shivakumar Venkataraman, ex vicepresidente per la search adv in Google.
Il Financial Times spiega come il Ceo Sam Altman si stia facendo più possibilista all’idea di introdurre la pubblicità tra le fonti di ricavi della società, che spende di più di quel che guadagna – 4 miliardi di $ – per sviluppare e addestrare i suoi modelli di AI. Una delle principali fonti di fatturato viene dalla possibilità concessa alle aziende di accedere all’API per costruire modelli personalizzati, oltre alle licenze individuali ed aziendali di ChatGPT. La pubblicità potrebbe aggiungere ricavi preziosi monetizzando i 250 milioni di utenti attivi settimanali di ChatGPT. Oltre all’instabilità del mercato pubblicitario, Friar ha indicato tra gli svantaggi anche il fatto che la pubblicità sposta l’interesse dell’azienda “dai propri utenti ai propri inserzionisti”.
Tra le società di AI che stanno introducendo la pubblicità ci sono Perplexity, Microsoft e Adzedek, che offrono un annuncio correlato, ma distinto e chiaramente contrassegnato, insieme alla risposta a una query dell’utente.
Come commenta Axios, più o meno assomiglia a ciò che vediamo sui motori di ricerca. Se però i confini tra inserzione e output dell’AI non dovessero essere chiaramente distinguibili, ne risentirebbe la fiducia degli utenti. L’esempio: un chatbot che si trasforma in venditore potrebbe essere fastidioso, ma peggio ancora sarebbe se questo dovesse prendere decisioni per conto dell’utente in cambio di investimenti pubblicitari, atteggiamento che Axios definisce “predatorio”.
Perplexity ha iniziato a pubblicare inserzioni a metà novembre, sotto forma di ‘Sponsored post’ e posizionamenti media a pagamento all’interno della chat, acquistati da parter come Indeed, Whole Foods Market, Universal McCann, PMG.
La novità per ora riguarda solo gli Stati Uniti. Come ha spiegato l’azienda, il materiale pubblicitario è chiaramente etichettato come “sponsored” e le risposte alle Sponsored Questions saranno sempre prodotte dalla tecnologia di Perplexity e non scritte o editate dal brand inserzionista. “Abbiamo intenzionalmente scelto questo formato perché integra la pubblicità in un modo in cui l’utilità, l’accuratezza e l’oggettività delle risposte vengono protette” spiega l’azienda.