Oggi l’AI non è sufficientemente ‘corretta’ da riconoscerne le tante ‘diversity’ ed è infettata da troppi bias
Tanti dei recenti progressi in fatto di intelligenza artificiale hanno prodotto la capacità per i computer di eseguire compiti sempre più sofisticati – e in molti casi importanti come individuare i tumori più velocemente del medico – come tradurre simultaneamente da un’altra lingua o migliorare le interazioni uomo-macchina.
Sul riconoscimento facciale, invece, l’AI è ancora indietro, fondamentalmente perché i sistemi di intelligenza artificiale imparano ciò che gli viene insegnato e contare sul deep learning alimentato da una gran quantità di dati, non è abbastanza per garantirne l’equità.
Per questo IBM Research ha annunciato nei giorni scorsi che rilascerà un nuovo set di dati, chiamato Diversity in Faces (DiF) per contribuire a creare un sistema di AI più accurato e corretto, in particolare nell’area delle tecnologie per il riconoscimento facciale.
I volti umani sono molto differenti tra loro e allo stato attuale l’AI non è sufficientemente ‘corretta’ da riconoscerne pienamente le tante ‘diversity’ e infettata da troppi bias, sottolinea John R. Smith, Manager AI Tech dell’IBM T. J. Watson Research Center, nel suo intervento sul blog che annuncia il primo rilascio DiF.
Affinché un sistema di riconoscimento facciale funzioni come si deve, il training deve essere il più ricco e ampio possibile, riflettendo la distribuzione di espressioni che si incontrano in tutto il mondo: il data set messo insieme da IBM ha codificato le immagini incrociandole con 10 schemi di codifica indipendenti, tra cui misure craniofacciali, simmetria, attributi di età e genere, posa e altri ancora.
“Le nostre prime analisi mostrano che il dataset DiF fornisce una distribuzione più bilanciata e una copertura più ampia rispetto a quelli precedenti. in più gli insight ottenuti dall’analisi statistica ha rafforzato la nostra idea dell’importanza di caratterizzare i volti umani per migliorare la tecnologia di riconoscimento facciale”, aggiunge Smith sottolineando l’importanza della condivisione con tutta la comunità mondiale di ricercatori per compiere ulteriori passi avanti.