L’azienda D2c di calzature made in Italy Velasca si comporta come una vera e propria media company
Le Polaroid nelle scatole delle scarpe per onorare gli artigiani che le fabbricano stanno quasi finendo (prima di Pasqua erano 50mila) e quella che doveva essere un’operazione spot resterà per continuare a raccontare il bello fatto bene su cui Velasca sta investendo sempre di più, non solo in termini di marketing.
“E stato un bel successo, sono piaciute molto a tutti e hanno generato tanti post su Instagram, che era uno dei nostri obiettivi”, spiega Ludovico Bertè, Creative Director della prima azienda D2c made in Italy che disintermedia il rapporto tra produttori e consumatori nelle calzature di qualità.
Tutte le idee di marketing e comunicazione dell’azienda fondata nel 2013 – di cui sono investitori, tra gli altri, P101 e Milano Investment Partners – nascono dalla piccola agenzia creativa interna impegnata a trovare modi piacevoli e mai invadenti per arrivare direttamente alle persone, sostenuti poi da ingenti investimenti digital su Google e Facebook e qualche sporadica campagna TV su Sky.
Nel 2020, investiti dalla pandemia, “abbiamo lasciato da parte la spinta commerciale e iniziato a raccontare gli artigiani e il loro lavoro, dando voce all’italianità e al bello fatto bene”, aggiunge Bertè. L’obiettivo è duplice: da una parte rafforzare l’identità del brand poggiandolo su un set di valori, dall’altra creare un rapporto sempre più stretto con i clienti.
Certo, la base di follower di Instagram è ampia, circa 145mila iscritti, “per parlare direttamente alla persone dandogli del tu”, LinkedIn funziona benissimo, ma lo strumento più efficace è la newsletter: 250mila iscritti, invii calibrati, mai più di 6/7 al mese, ogni mail fatta a mano, “un pixel dopo l’altro”, senza l’uso di piattaforme di marketing automation, è lo strumento che fa convertire di più e il canale che genera più fatturato.
Media company. Email che si nutrono di contenuti e infatti Velasca si comporta come una vera e propria media company: dall’estate 2020 sta portando avanti il format dei viaggi in giro per l’Italia, zone precise del paese di cui raccontare l’artigianato e le imprese da punti di vista che cercano di essere intimi, non banali e poco commerciali: e infatti 1 post su 3 non riguarda le scarpe ma luoghi e persone. Anche questo format funziona e infatti dal primo viaggio – in Puglia – i follower sono triplicati.
“La community è tutto per un brand D2c e si coltiva intorno ai valori, non il prodotto, e ascoltando le persone”, dice Bertè aggiungendo che “le parole magiche intorno a cui gira la comunicazione di Velasca sono autentico e autoironia, non guardiamo le persone dall’alto in basso come tanti brand di super-lusso belli e irraggiungibili”.
L’omnicanalità è il punto d’arrivo per il brand nato only digital e che oggi ha 11 negozi – entro fine maggio aprirà New York, a settembre Napoli – in “luoghi di destinazione, devi aver voglia di andarci, non siamo su strade di grande passaggio”, concepiti per mimetizzarsi nell’ambiente circostante: uno somiglia a una cantina, un altro al foyer di un teatro, tutti hanno una macchina per il caffè e qualche calice di vino per l’ora dell’aperitivo.
Prima delle chiusure per i confinamenti facevano ormai il 50% del fatturato (il 30% arriva dall’estero), hanno tenuto duro con le call tra clienti e store manager che con tutte le precauzioni del caso portavano le scarpe a casa dell’acquirente per la prova, supportati da un customer care anche questo su misura – “non delocalizzato” – così come la logistica, e da un software che centralizza ogni punto di contatto, dall’email a Instagram.