L’avvocato Gilberto Cavagna di Gualdana, Associate Partner di Andersen, spiega quali requisiti deve avere un payoff pubblicitario – come il ‘Just do it’ di Nike – per essere registrato come marchio
Ci sono pay off che hanno fatto storia, come “Just Do It” della Nike o “I’m lovin’ it” di McDonalds. Efficaci, immediati, letteralmente impressionanti.
Prima o poi molte aziende provano a adottare un pay off che resti impresso e che, senza nominare il prodotto o servizio e riprendere il marchio, lo richiami e lo renda facilmente ricordabile.
E quando lo trovano (o sperano di averlo trovato), giustamente si preoccupano di tutelarlo e di preservarne l’esclusiva, in primis depositandolo come marchio.
E infatti “Just Do It” è stato registrato da Nike fin dal 1997 mentre “I’m lovin’ it” da McDonald’s dal 2003.
Ma non tutti i pay off hanno i requisiti per essere tutelati come marchio.
Anche i pay off e in genere tutti gli slogan, infatti, per poter essere considerati validi ed efficaci marchi ed essere registrati come marchi devono possedere i requisiti necessari previsti per legge, ovvero essere nuovi, almeno in relazione ai prodotti e servizi che contraddistinguono, e dotati di sufficiente capacità distintiva, così da essere percepiti dai consumatori come un segno che indica la provenienza imprenditoriale di un prodotto o un servizio e non solo un’espressione elogiativa o un semplice messaggio promozionale (oltre che leciti, ovvero non contrario alla legge, all’ordine pubblico, al buon costume e idonei a non ingannare il pubblico sulle caratteristiche e le qualità dei prodotti e servizi contraddistinti).
Anche la Corte di Giustizia Europea ha più volte chiarito che la registrazione di un marchio costituito da slogan e pay off non è di per sé esclusa dal loro uso come frase pubblicitaria suggestiva (così ad esempio, decisione del 27/05/2018, procedimento T362/17) e che, nel valutare il carattere distintivo, non bisogna applicare criteri più severi agli slogan e pay off rispetto ad altri tipi di segni distintivi (in tal senso decisione del 12/07/12, procedimento C-311/11; le decisioni sono consultabili tramite il sito dell’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale: https://euipo.europa.eu).
Tuttavia, come per tutti i marchi, anche i pay off devono essere percepiti dal pubblico come un’indicazione della provenienza commerciale dei prodotti o servizi contraddistinti, al di là della loro funzione pubblicitaria; ovvero quando non si riducono ad un comune messaggio promozionale, ma possiedono una certa originalità o ricchezza di significato e sono in grado di provocare sorpresa o sorriso, innescare un pensiero, insomma essere percepiti come elemento fantasioso e richiedere uno sforzo di interpretazione che elevi la frase ad elemento distintivo.
In applicazioni di tali parametri sono stati ad esempio ritenuti registrabili come marchi, in quanto per l’appunto dotati di capacità distintiva, i pay off di Audi “vorsprung durch technik” [“Avanti grazie alla tecnologia”] in quanto possiede una certa originalità e ricchezza di significato che lo rendono facilmente memorizzabile (sentenza del 21 gennaio 2010, Audi, C-398/08) e lo slogan “it’s like milk but made for humans” poiché, tramite la congiunzione, mette in discussione l’idea comunemente accettata che il latte sia un elemento chiave della dieta umana e trasmette un messaggio in grado di mettere in sicurezza un processo cognitivo nella mente del pubblico (sentenza del 20 gennaio 2021, Oatly, T-253/20).
Non è stato invece ritenuto sufficientemente distintivo lo slogan “forever faster” depositato da una nota società tedesca in relazione a calzature e abbigliamento sportivi. Il Tribunale dell’Unione europea ha ritenuto infatti che lo slogan “forever faster” viene percepito dal pubblico come una semplice formula promozionale e ciò fa venire meno il requisito essenziale dell’esistenza del carattere distintivo (sentenza del 9 marzo 2017, Puma, T-104/16).
Allo stesso modo in una recente decisione, il Tribunale ha rifiutato la registrazione del marchio “we’re on it” perché ha ritenuto che la frase, intesa dal pubblico come “ci occuperemo di esso”, rappresenti un messaggio che può essere utilizzato da qualsiasi fornitore sul mercato al fine di incitare i consumatori ad acquistare beni o servizi; lo slogan in questione è stato ritenuto pertanto troppo semplice e formulato in termini generali (sentenza del 13 maggio 2020, Koenig & Bauer, T‑156/19).
Oltre che come marchio, uno slogan può essere tutelato anche, proprio nella sua funzione pubblicitaria, attraverso un deposito presso l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), che assicura prova del diritto di priorità della creatività di messaggio di una futura campagna di comunicazione per un periodo di 12 mesi dalla data del deposito ed è rinnovabile una volta per un analogo periodo (secondo quanto disposto dall’art. 44 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale; gli slogan depositati sono consultabili sul sito www.iap.it).
Oltre che come marchio, gli slogan possono inoltre essere tutelati come opera dell’ingegno, senza che sia necessaria alcuna registrazione, purché il messaggio presenti quel gradiente minimo di creatività previsto per beneficare della protezione accordata dalla legge autore, che riserva all’autore – nel caso degli slogan, per lo più le aziende che lo hanno commissionato ad agenzie e/o creativi – qualsiasi diritto di utilizzazione. La tutela autoriale è stata ad esempio riconosciuta allo slogan “You are, we car”, utilizzato da Fiat Group Automobiles S.p.A.
Tante tutele insomma per gli slogan, purché effettivamente “impressionanti”.
Avv. Gilberto Cavagna di Gualdana – Partner, Andersen