La logica perversa degli influencer ribalta la dinamica classica dei testimonial: questi devono dimostrare prima la propria abilità o il proprio talento, e poi prestare la propria immagine ai brand, gli influencer, al contrario, costruiscono la propria identità vendendo le proprie opinioni al miglior offerente e svuotando quindi la propria identità per riempire lo sguardo e le scelte degli altri
di Francesco Morace, Presidente di Future Concept Lab
Solo tre mesi fa, in apertura di ‘Modernità gassosa’ scrivevo: “Con i social siamo entrati nell’era del consumo di noi stessi: non solo della nostra immagine, ma anche di un’esistenza che si polverizza. Sembriamo liberi, ma lo sguardo degli altri ci sottopone a una pressione sociale mai vista: siamo nella dimensione volatile dell’Ultra. Nelle storie che raccontiamo e che lanciamo senza rete, l’ego si gonfia e spesso esplode come un pallone gonfiato a dismisura”.
La previsione si è rivelata tempestiva: a distanza di poche settimane è esploso il caso Balocco la cui svolta è stata registrata in questi giorni. Chiara Ferragni è indagata per truffa aggravata nell’ambito di un’indagine della Procura di Milano e non c’è dubbio che il caso riguardi una sua ultra-esposizione che l’ha resa ricca, ma non libera, in un gioco di specchi in cui ha perso il controllo.
Lo sguardo degli altri, appena sbagli, non perdona. La morale della storia è che chi gonfia a dismisura il proprio ego, corre il rischio – prima o poi – di “scoppiare” come la rana nella favola di Esopo. E Chiara Ferragni il suo ego l’ha gonfiato davvero tanto. Ha consumato non solo la sua immagine – in comproprietà con il marito Fedez -, ma anche la sua vita familiare, la sua intimità, la nascita dei figli, persino la malattia e la depressione del marito: ha esposto – forse in buona fede, ma non è questo il punto – tutto ciò che nell’esperienza dell’umano andrebbe protetto, maneggiato con cura, trattato con delicatezza.
The Truman Show. Ricordiamo tutti la straordinaria intuizione raccontata in ‘The Truman Show’ e il suo epilogo: la vita che diventa fiction televisiva (in quel caso inconsapevole) e l’uscita di scena del protagonista che rifiuta di essere ‘personaggio’ per tornare a essere ‘persona’.
Con i social siamo oltre e per questo il caso Ferragni è in realtà più estremo: il ‘personaggio’ è stato costruito consapevolmente dalla ‘persona’ creando un business da 40 milioni sul nulla di un sé venduto a caro prezzo.
C’è chi dice: è stata brava, io rispondo: ma a quale prezzo ? Il rischio è che – con la possibile distruzione del personaggio – l’identità della persona possa letteralmente polverizzarsi. Non lo auguro a lei né al marito, ma il rischio di un crollo verticale è molto elevato.
Testimonial e influencer. A chi nel mondo della comunicazione relativizza, affermando che i testimonial sono sempre esistiti e che Nino Manfredi ha veicolato per decenni l’immagine di Lavazza così come Sinner rimarrà legato a Fastweb fino al 2026, rispondo: la logica perversa degli influencer ribalta la dinamica classica dei testimonial. Un attore o un tennista devono infatti dimostrare prima la propria abilità o il proprio talento, e poi possono prestare la propria immagine ai brand. Hanno una loro identità, sanno fare qualcosa, al di là di quello che raccontano. Possono noleggiare la propria immagine, ma l’identità rimane salda, anzi spesso si rafforza. A patto di continuare a far bene il proprio mestiere.
Gli influencer al contrario costruiscono la propria identità su quanto viene raccontato giorno per giorno (90k per ciascun post nel caso di Ferragni, ed è qui l’anomalia, la sproporzione), vendendo le proprie opinioni al miglior offerente e svuotando quindi la propria identità per riempire lo sguardo e le scelte degli altri.
Se il business di Ferragni si riduce a questo (al momento non può contare su alcun altro introito, a differenza di Fedez che si è guadagnato negli anni la reputazione di rapper), dopo aver costruito una catena della fiducia così labile, l’eventualità di scoppiare rovinosamente nel cielo della propria popolarità va affrontata come esito probabile: a prescindere dalle battaglie sui valori o dalla stessa beneficienza “in buona fede”, che diventano poco credibili. Quando il tuo mestiere è vendere finte opinioni, è inevitabile che ogni opinione – anche la più sincera – sia alla fine percepita come finta. E una persona senza opinioni “vere” si dissolve, allo sguardo degli altri.
Chiudo con un pensiero secco per quelle aziende che hanno pensato in modo cinico o ingenuo di sfruttare l’onda-Ferragni: il Re è nudo, la Regina anche, tornate – se potete – a far bene il vostro mestiere.