Il covid-19 rappresenta la sfida dell’‘ultra’, cioè di andare oltre ciò che viene normalmente accettato. Nulla sarà più come prima, perché questi sono tempi che non dimenticheremo
di Francesco Morace, fondatore di Future Concept Lab
Fino al 21 febbraio 2020 abbiamo sofferto della sindrome che qualcuno ha definito ‘attenzione parziale continua’: c’era sempre uno schermo da guardare, un’informazione da acquisire, che appariva più importante della realtà in cui eravamo immersi in quel momento, e che inesorabilmente nei giorni successivi veniva cancellata da altro.
Poi tutto è cambiato. La realtà ha riconquistato il suo ruolo naturale: il contesto in cui vivere e sopravvivere. La condizione precedente presidiava il mercato dell’attenzione attraverso la forzatura del ‘finto scandalo quotidiano’: immigrazione, terrorismo, cronaca nera, scontri politici o rivalità calcistiche. Argomenti da bar, creati ad arte per far discutere sui social e nei dibattiti televisivi.
Il 21 febbraio sono cambiate le regole del gioco. In campo è rimasto un unico argomento, per intere settimane, in tutto il mondo: un evento inaudito per il mondo della comunicazione e della politica che non ha più potuto definire l’agenda setting, selezionando temi e argomenti più o meno rilevanti, o scegliendo a proprio piacimento le priorità nel flusso comunicativo.
Il Covid-19 ha rappresentato uno ‘scandalo permanente’. Si è dovuto ridefinire il mestiere dell’opinion leader: giornalisti e politici, chef e artisti, influencer e calciatori hanno dovuto lasciare il posto a medici e virologi, infermieri e scienziati, gli unici a poter garantire l’aura della credibilità, contraddicendo politici spaventati e confusi, non più in grado di affrontare la grande sfida dell’‘ultra’: cioè di andare oltre ciò che viene normalmente accettato come tecnica di comunicazione, attraverso cui ci si limita a creare opinioni preconfezionate, da ribadire in ogni occasione, aldilà del contesto specifico.
La definizione ‘ultra’ nel Nuovo Treccani recita infatti «oltre, al di là, superiore al normale»: il Covid-19 lo è stato e lo sarà per un tempo infinito, se valutiamo l’unità di misura accelerata della comunicazione mediatica. Il media non ha più costituito il messaggio (come Mc Luhan ci insegnava) ma il virus stesso è diventato sia media che messaggio. Anzi più precisamente i media siamo diventati potenzialmente tutti noi (con il nostro corpo ipoteticamente contagiato) veicolando il virus-messaggio.
E allora si sono rafforzate le 6 R che già negli Anni ’10 di questo millennio si erano affacciate timidamente nel mondo della comunicazione: Rilevanza, Risonanza, Rispetto, Responsabilità, Reciprocità e Riconoscimento, e cioè le nuove regole cui le Brand dovranno gioco-forza adeguarsi.
Il cambiamento in atto viene confermato dai risultati di tutte le ricerche sul tema, condotte al tempo del contagio: le brand (e le aziende) conserveranno la loro credibilità solo se si dimostreranno in grado di essere civil servant, sostenendo, rassicurando, servendo i propri clienti e la propria comunità, con una capacità di rispecchiamento permanente, con interlocutori che diventano partner quotidiani e che bisogna conoscere e ri-conoscere, sulla base di una visione comune, di un messaggio memorabile, di un corretto tono di voce e di una capacità di ascolto superiore al normale.
In queste settimane lo hanno fatto ad esempio Esselunga raccontando il proprio impegno e Rummo ricordando e ringraziando la generazione dei nonni.
In Future Concept Lab siamo stati tra i primi a sostenere che nulla sarà più come prima, perché questi sono tempi che non dimenticheremo.