Riflessione sui nuovi scenari per l’influencer marketing alla luce del DDL Concorrenza, le normative dello IAP e il codice etico di Igers Italia
di Fabrizio Perrone, founder e CEO Buzzoole
Il mercato si sta evolvendo in maniera naturale verso un nuovo modo di concepire l’advertising, la produzione-gestione degli UGC e in generale il marketing come lo abbiamo conosciuto fino a oggi. Un approccio che supera la tradizionale teoria della pubblicità-bersaglio verso utenti inconsapevoli e che tende a coinvolgere sempre più da vicino i consumatori nelle attività di comunicazione dei propri brand preferiti nella effettiva nuova veste di prosumer.
Ora, il dibattito a cui stiamo assistendo in questo ultimo periodo riguarda principalmente la trasparenza dei contenuti digitali prodotti dagli “influencer”, ovvero da coloro che sul web possono avere presa su un bacino di utenza, piccolo o grande che sia, e che in alcuni casi collaborano con i brand per la promozione dei loro prodotti/servizi. La richiesta, proveniente da più direzioni, è quella di rendere esplicita la natura promozionale di questi contenuti attraverso l’utilizzo di diciture dedicate.
Tanti si sono chiesti come Buzzoole valuti l’impatto di queste richieste sul proprio business e come veda il futuro dell’influencer marketing alla luce dei nuovi scenari prospettati da DDL Concorrenza, Antitrust e player come Igersitalia che da poco ha lanciato il Codice Etico per i Digital Content Creator.
Esiste chiaramente un vuoto normativo.
Si tratta di un fenomeno abbastanza frequente quando si ha a che fare con nuovi modi di interpretare vecchi mercati (basti vedere l’impatto registrato dall’ingresso di nuovi player della sharing economy, da Airbnb a Blablacar fino a Uber). In assenza di leggi apposite, ci siamo sempre impegnati a garantire la massima trasparenza sia agli utenti della nostra piattaforma che ai brand con cui collaboriamo. E lo abbiamo fatto principalmente in due modi.
Il primo è legato indissolubilmente all’analisi dei dati.
La nostra piattaforma analitica distribuita si avvale di algoritmi di Natural Language Understanding (NLU),sistemi di riconoscimento delle immagini e modelli statistici in grado di comprendere nel dettaglio i contenuti dei nostri utenti, in modo da valutare quanto siano influenti in rete e quanto siano affini ai vari brand. L’influenza è analizzata per ogni social channel e nei vari topic di mercato. Inoltre GAIIA (Growing AI for Influencer Affinity) rileva tutte le informazioni necessarie (audience, engagement, profilazione, brand affinity) in modo da selezionare il miglior insieme di utenti per partecipare a una campagna di influencer marketing.
Questi dati sono sempre a disposizione delle aziende che intendono lanciare le campagne con noi ed è un modello molto lontano dalle attività con gli influencer proposte dalle tradizionali agenzie. Il recente lancio del Programma Verified, inoltre, conferma questo nostro indirizzo: riconoscere e premiare, attraverso i dati, l’impegno di chi mantiene alta la qualità dei contenuti prodotti guadagnando la nostra fiducia e soprattutto quella dei nostri clienti.
Il secondo modo riguarda l’approccio al cambiamento ed è il buonsenso.
Fin dagli inizi Buzzoole si è data delle regole chiare di comportamento a cui gli iscritti devono attenersi. Tutti i contenuti prodotti dagli influencer coinvolti nelle campagne sono supervisionati dai nostri campaign manager che segnalano eventuali comportamenti inadatti (ad es. contenuti razzisti, omofobi, per varia natura offensivi). Inoltre ciascun brand definisce all’interno del proprio brief quali debbano essere le regole in merito al trattamento dei dati aziendali e alla riservatezza.
Inoltre, per quanto riguarda la segnalazione di contenuti prodotti nell’esercizio di una collaborazione retribuita, molti degli utenti Buzzoole, in assenza di una normativa apposita, si sono dati da soli delle regole, decidendo di inserire le diciture “ad”/“adv” all’interno dei propri post. Se il DDL Concorrenza dovesse passare così come proposto, sarà loro premura attenersi a quanto stabilito e nostro interesse adeguarci alla nuova normativa nel caso dovesse indicare una responsabilità diretta da parte degli abilitatori come noi che facilitano il contatto tra brand e audience.
Quel che sappiamo, al momento, è che stiamo assistendo alla naturale evoluzione di un mercato che punta alla standardizzazione di un nuovo media – il “marketing degli utenti”, una forma ibrida ma molto organica e naturale – che in quanto tale va trattato, con metriche comuni e certificazione delle performance.
Ma la vera domanda da porsi sarà “fino a che punto occorre regolamentare?”.
Perché il rischio sarà quello di normare il digitale chiudendo un occhio sull’offline, dove celebrity e grossi influencer continueranno a fare product placement sfoggiando automobili, borse, cappelli, occhiali e gadget forniti dagli sponsor, su cui sarà molto difficile apporre la dicitura “paid partnership with”.
Per cui ben venga la regolamentazione del mercato ma interpretando in maniera sensata i nuovi codici e nuovi linguaggi senza tuttavia limitarne la sperimentazione e l’evoluzione.