Con lo sviluppo dei chatbot inizia l’era del conversational advertising ed emergono nuove opportunità creative per i brand
di Giuseppe Mayer, chief innovation officer di GreyUnited
Tutto è iniziato il 12 Aprile 2016 quando sul palco del Facebook Developer Conference, Mark Zuckerberg ha annunciato il lancio di Messenger Platform con Chatbot; è stato amore a prima vista. Sia chiaro, l’idea di utilizzare programmi in grado di simulare una conversazione “umana” non è in realtà così nuova se si pensa come fin dai primi anni ’90 diversi standard di instant messaging (chi ha più di 30 anni ricorderà IRC) abbiano permesso lo sviluppo di bot con funzioni di natura diversa all’interno delle chat tematiche.
La novità nell’annuncio di Facebook sta piuttosto da un lato nelle dimensioni del mercato potenziale che Messenger permette di raggiungere (più di un miliardo di utenti attivi al mese) e dall’altro nella possibilità di accedere ai dati di chi utilizza questa piattaforma per personalizzare e rendere rilevante la “conversazione” tra consumatori e marca all’interno di una situazione che viene percepita come naturale e spontanea dalle persone.
L’inizio del conversational advertising: messaggi di marca che possono essere allo stesso tempo personali e rilevanti, ma anche capaci di raggiungere un target numericamente significativo. La promessa di una comunicazione realmente in grado di leggere e comprendere il contesto è la ragione principale per cui lo sviluppo dei chatbot è così interessante per i brand; riuscire ad interpretare al meglio questo potenziale è la sfida e non è per nulla facile.
Alcuni si stanno orientando verso lo sviluppo di programmi di servizio, come nel caso di KLM e Uber, altri puntano sulla “product discovery” come H&M e Sephora, ma si tratta ancora nella maggior parte dei casi di esperimenti con focus puramente funzionali del tipo domanda/risposta.
C’è molto di più davanti a noi; ad esempio, parlando in termini media, un bot potrebbe essere impostato con una larga serie di risposte contestuali, o formati pubblicitari conversational, e programmaticamente andare ad analizzare un flusso di conversazioni per comprendere quando e come inserire un messaggio promozionale rilevante per la persona. In più, con l’aiuto di sistemi di machine learning, il nostro chatbot potrebbe iniziare a comprendere e ricordare le preferenze del consumatore, permettendo una “conversazione” ancora più rilevante.
Dal punto di vista creativo poi il chatbot rappresenta uno strumento incredibilmente versatile; Robbie Williams ad esempio ha recentemente lanciato sulla propria pagina Facebook un bot, ribattezzato dai suoi fan RobBot, che è molto più di semplice servizio informativo sul nuovo album o sulle date del tour. Il programma interagisce con i fan utilizzando il tono di voce ironico del cantante, raccontando aneddoti e firmando autografi personalizzati.
L’esempio ad oggi più efficace di utilizzo creativo dei chatbot è però a mio modo di vedere quello realizzato da Channel4 per il lancio della seconda stagione di Humans; qui infatti si va oltre il semplice servizio o l’intrattenimento per entrare in una conversazione di marca reale che realizza un’esperienza unica … ma non voglio spoilerare nulla, questo chatbot va davvero provato.
Il conversational advertising rappresenta insomma un passo in avanti epocale sia rispetto ai tradizionali siti internet, sia rispetto all’ecosistema delle mobile app pur sviluppandosi a partire da semplici messaggi di testo. E’ facile prevedere come, insieme a search e ai social media, anche i chatbot avranno nei prossimi anni un ruolo cruciale nella definizione del consumer journey assumendo in un certo senso la funzione che una volta era dei browser ovvero di porta d’accesso alle informazioni ed alle esperienze di marca online con in più la capacità di analizzare, comprendere ed interpretare.
E’ talmente intelligente, come fai a non innamorartene?