Il tempo ridotto della proiezione – e tagli scellerati a parte – nulla toglie alla ricerca di nuovi talenti che Saatchi & Saatchi porta a Cannes Lions. Quest’anno con molte emozioni in più che Giovanni Pagano ha colto e raccontato per Brand News
di Giovanni Pagano
C’è stato un tempo in cui il Saatchi & Saatchi Showcase significava mettersi in coda di prima mattina se volevi vederlo bene, l’Auditorium Lumière era sempre esaurito e lo spettacolo durava un’ora e mezza, da cui si usciva frastornati per la forza violenta di concetti, immagini e suoni. Dimenticatevelo. Adesso potete arrivare all’ultimo minuto e trovare comodamente posto, vi prenderà solo 3 quarti d’ora (quest’anno senza alcun dibattito iniziale) e non ne uscirete stressati. Ma emozionati sì.
Il cambiamento della mission di questo immancabile appuntamento ha portato a una serie di conseguenze che, anno dopo anno, vanno delineandosi chiaramente: da ‘New Directors’ a ‘New Creators’, abbiamo assistito dapprima al boom dei video musicali rispetto agli spot inizialmente predominanti, per privilegiare quest’anno la categoria dei cortometraggi (ben 6 su 12 lavori presentati), il che rappresenta ovviamente la dimensione ideale per raccontare storie di maggiore impatto emotivo, oltre al consueto talento a cui la Saatchi & Saatchi ha avuto il merito di abituarci.
Tante storie, tanti sguardi. Il mio taccuino trabocca di commozione rievocando ‘Jellyfish and Lobster’ di Yasmin Afifi, già vincitore della categoria Corti dei BAFTA Awards 2024: è la delicata storia del corteggiamento fra due anziani ospiti di una casa di riposo, storia complicata da una diagnosi infausta che entrambi cercheranno di affrontare insieme con spirito vitalistico.
E come reagire alla plastica danza in cui un uomo e una donna mimano il rifiuto e l’accettazione della madre da parte del figlio nato da uno stupro? ‘Born of violence’ affronta un tema sconvolgente con la grazia e la forza di Philip James McGoldrick, regista pluripremiato e concepito realmente in un atto di violenza. ‘Sometimes I feel like a motherless child, sometimes I feel like I’m almost gone’ racconta una musica dolcissima che ricorda in qualche modo l’intensità di Anohni and the Johnsons.
Non fai a tempo a smettere di ridere per la furiosa bastonatura a cui una coloratissima mamma nigeriana sottopone il figlio Ade in un elegante ristorante londinese (sottolineata dai Carmina Burana, dalle riprese freezate delle espressioni sconvolte dei presenti e dal montaggio sincopato) che il regista ti strizza il cuore rivelandoti che l’uomo stava soffocando e la donna gli ha salvato la vita: è ‘Festival of slaps’ di Abdou Cisse, regista nigeriano che vi rivela in questo modo quanto sottilmente razzista fosse la nostra ridanciana lettura iniziale della scena.
Tagli e scelte. Ma a questo punto duole muovere un’accusa all’organizzazione dello Showcase: se ho reso bene il plot narrativo di questo corto, vi rendete conto di quanto possa averlo rovinato l’idea di tagliarlo dopo 2:40″? L’intenzione del regista (contrastare gli stereotipi occidentali presentando con la figura della madre un archetipo eroico totalmente diverso) resta del tutto mortificata, anzi se possibile contraddetta da quanto visto al Palais.
E questo è niente, se pensate che di ‘Electra’, capolavoro complessissimo della ceca Daria Kashcheeva, vero astro nascente dell’animazione mondiale, è stato mostrato solo un impacciato montaggio di 1:20” dal totale di 27 minuti!
Ok Saatchi & Saatchi, mi rendo conto che l’affitto della Lumière deve essere arrivato a cifre stratosferiche, però perché non considerare allora l’ipotesi di non presentare del tutto opere di tale valore, invece di tradirle in questo modo?
Complimenti. Ma torniamo adesso ai complimenti. Complimenti, questa volta, a 2 star come Sienna Miller e Emma Thompson, che dimostrano la loro passione per il cinema come produttrici esecutive di lavori in cui evidentemente hanno creduto molto: ‘Marion’, di Finn Constantine e Joe Weiland, è un asciutto pezzo di vita di una ‘ganadera’ francese (una specie di torera in corride non letali per gli animali), stressata da impegni familiari e pregiudizi maschili.
‘Good boy’, di Tom Stuart, è un altro gioiello ambiguo, impreziosito dalla recitazione magistrale di Ben Whishaw e Marion Bailey, in cui dopo aver riso tanto di questo personaggio strampalato che fugge sul suo pulmino Volkswagen T1 assieme alla madre invadente e comprensiva, scopriamo con un nodo alla gola che è proprio dalla morte della mamma che Daniel sta cercando disperatamente di fuggire, fino a prenderne struggentemente atto: ‘I’m sorry mom, but you can’t come’.
Ma asciughiamo questa lacrima, perché la notizia è che questo lavoro, arrivato a un passo dall’Oscar di categoria, è stato prodotto dalla 130 Elektra Films di Elettra Pizzi, italianissima per quanto residente in Inghilterra.
Hats off. E forse qualche complimento lo merito anch’io se, nonostante l’argomento, sono arrivato fin qui senza usare mai le parole storytelling e narrazione. Fatelo anche voi, vi prego.