Erik Kessels e l’importanza di dire NO. Paradosso, errore e imperfezione sono oro in un settore che si prende troppo sul serio

Erik Kessels, entrato nella Hall of Legends di Adci, racconta perché vale la pena di dire no per liberare la creatività

A un settore in cui la creatività spesso viene appiattita e annacquata da troppi si, un maestro come Erik Kessels ha ricordato l’importanza di dire un salutare NO. No ai riti improduttivi come i braistorming, alle limitazioni del pensiero e anche a lavorare con clienti con con cui non si vorrebbe avere a che fare.

Kessels, artista, curatore e communication designer olandese, autore di campagne per Nike, Diesel, Heineken, Audi, ieri sera è entrato nella Hall of Legends durante la serata di premiazione degli ADCI Awards, grazie al suo ruolo di riferimento nel panorama artistico e della comunicazione visiva. Il suo intervento ha chiuso l’intensa due giorni di Intersections, ricordando alcuni degli ingredienti chiave della creatività: ragionare per paradossi, trasformare l’imperfezione in valore e l’errore in significato.

Come ha ricordato nella sua introduzione Giuseppe Mastromatteo, cco di Ogilvy Italia, “in un mondo che ci chiede iper-specializzazione e verticalità, lui rappresenta esattamente l’opposto, l’ampiezza del sapere, la curiosità che attraversa le discipline, l’intersezione tra arte, pubblicità, sociologia, antropologia. Con ironia e lucidità, ci ricorda che dire di no non significa chiudere una porta, ma aprirne cento”.

Licenziato per troppa personalità. Il salto di qualità Kessels lo fa dopo essere stato licenziato, insieme al socio di sempre Johan Kramer, dall’agenzia londinese presso cui lavoravano per essersi presentati vestiti da polli, così per vivacizzare l’atmosfera un po’ spenta. La lettera di licenziamento, esibita come una medaglia, motivava il provvedimento definendo i due “troppo individualisti”. Ma se non hai personalità e individualità, come fai a fare il creativo?

Da li è iniziata una carriera trentennale, in cui dire ‘no’ ha avuto la sua importanza. “In questo settore in cui tutti dicono sì – ai clienti, alle opportunità – pensiamoci un attimo prima di annuire. Più diciamo no, più definiamo quello che invece è un sì, ciò che vogliamo veramente”.

L’agenzia Kasselkramer ha creato centinaia di campagne, alcune delle quali hanno fatto la storia della pubblicità, come quelle per Diesel, sempre giocate sul filo del nonsense e del grottesco. Ma non definitela out of the box, perché per Kessels questo modo di dire è sbagliatissimo. “Non ha senso dire che i creativi pensano in modo laterale, out of the box, perché la creatività non deve conoscere scatole. Mai. Il nostro lavoro è stare fuori dagli schemi”.

La pubblicità non mi piace. Pur facendo pubblicità da 30 anni, il 95% della produzione creativa è detestabile per Kessels e vale la pena di fare questo mestiere solo per ideare quel 5% che si salva.

Tra i migliori esempi la campagna Diesel ‘Save yourself’, gli spot per io Mondiali di Calcio e il Tour de France per Radio 1 che hanno sollevato le proteste degli animalisti (nessun cane è stato maltrattato per realizzare quegli spot, ma il cliente ha dovuto commissionare un sequel ad hoc per calmare le acque), il progetto a 360° per la catena di hotel Citizen M che smonta i cliché  sull’hotellerie di lusso e il celebre case study dell’ostello di Amsterdam Hans Brinker, diventato un must da prenotare per la sua campagna che giocava sull’unica carta vincente di una sistemazione così umile: l’onestà.      

Qui sotto i due spot di Radio 1, il secondo realizzato per ‘dimostrare’ che il cane era ancora vivo, racconta Kessels.

Dire no in agenzia. Kessels boccia con un sonoro ‘no’ i brainstorming (inutili e dispersivi), i clienti stronzi (la vita è troppo breve per passarla lavorando con degli stronzi, anche se la creatività può esorcizzare degli stronzi veramente grandi) e la perfezione, così diffusa in un un certo tipo di creatività laccata e distante.

No al professionismo. Kessels chiude con un’escursione nel publishing e nella cosiddetta “found photography” – l’autore non scatta nuove immagini, ma raccoglie, rielabora e trasforma fotografie esistenti in opere visive e libri – grazie alla quale l’errore, l’imperfezione, la memoria visiva, l’archivio dell’immagine diventano strumenti di riflessione sulla cultura visiva contemporanea.

Kessels ha pubblicato ben 70 libri di immagini riappropriate, tra il quale il bestseller Failed It! sugli errori architettonici, cavalcando anche qui nonsense e grottesco. Una miniera di ispirazione per riflettere sull’assurdità delle convenzioni, sull’egomania degli uomini (il libro Man e la carrellata di dickpick di Useful Photography, che ripercorrono un’ordinaria giornata, dalla mattina all sera, di peni affiancati a oggetti di uso comune), Shit sull’indegnità della guerra con 80 foto di nazisti che cagano e Incomplete Encyclopedia Of Touch sull’incontenibile desiderio delle persone di toccare cose. 

F.B.

Erik Kessels e l’importanza di dire NO. Paradosso, errore e imperfezione sono oro in un settore che si prende troppo sul serio ultima modifica: 2025-11-07T11:04:28+01:00 da Redazione

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