Il valore dell’indipendenza, il ruolo del procurement, l’incertezza geopolitica, le relazioni tra agenzie e clienti: Attilio Redivo, fondatore e partner della società di advisor Outcome Consulting e una lunga esperienza di lavoro nelle agenzie media, ha condiviso con BrandNews tendenze e andamenti del mercato

Quali saranno, secondo Outcome, i temi centrali dell’ultimo trimestre?
«Quello che stiamo osservando in queste settimane, trasversalmente, è un clima di incertezza per lo più generato dal quadro politico internazionale. La situazione si può riassumere in questo scenario: le aziende hanno risorse da investire in comunicazione, ma l’incertezza sul possibile impatto di quello che sta accadendo le spinge verso un atteggiamento molto prudente e ciò comporta che alcuni budget non vengano allocati e spesi, temendo che fattori esogeni possano compromettere i risultati dei piani di comunicazione e marketing».
Qual è il valore dell’indipendenza per Outcome Consulting e quanto rende?
«Essere indipendenti per noi significa non avere condizionamenti da terze parti, e questo ci permette di aiutare le aziende a definire strategie su misura, sulla base dei loro obiettivi, senza farsi condizionare dagli obiettivi commerciali del mercato. Questo porta a creare relazioni più solide e durature con tutti i partner di comunicazione (agenzie creative, media, digital, social, ecc.) perché tutto il processo è focalizzato negli ‘outcome’ dell’azienda nostra cliente. Un posizionamento che ci permette di proiettare un 2025 in crescita del 23% sull’anno precedente e un giro d’affari che si avvia a superare 1,6 milioni di euro. Crediamo sia anche dovuto principalmente a due fattori: il primo, è che momenti di incertezza è ancora più importante essere sicuri di investire al meglio ogni euro e questo dà a Outcome una funzione, per così dire, anticiclica, il secondo è il numero di clienti che ogni anno ci confermano la loro fiducia e sono il primo volano per nuovi contatti».
Come cambiano, se stanno cambiando, i piani media? Secondo la ricerca di MediaSense (uno dei partner con Outcome opera sui mercati internazionali, ndr), i media tradizionali stanno diventando sempre meno rilevanti e l’ago della bilancia si sta spostando verso altri mezzi e canali. Vale anche per il mercato italiano?
«Sicuramente, il panorama dei media sta cambiando, ma in una prospettiva strategica, più che passaggio da TV ad altro parleremmo di centralità della video-comunicazione. Proprio questa eterogeneità delle modalità di fruizione è probabilmente il tema centrale per i planner di oggi. Tuttavia, hanno moltissimi dati che provengono da fonti diverse e si riferiscono ad ambiti specifici e che quasi sempre non si parlano fra loro: oggi i planner devono costruire pianificazioni integrate senza sufficienti elementi che spieghino le modalità con cui piattaforme e canali costruiscono le performance complessive».
E come si evolvono i modelli agenzia?
«In un momento storico, politico ed economico così denso, anche i rapporti con le agenzie di comunicazione cambiano e in questo scenario il procurement è sempre più coinvolto. C’è una ricerca del nostro partner MediaSense, le cui evidenze valgono anche in Italia, secondo cui le aziende clienti desiderano sempre più far evolvere il loro agency model, strutturandolo in base alle loro mutevoli esigenze interne. Insomma, lo stato di cambiamento è la nuova normalità e dovrebbe spingere le agenzie a riprogettare i modelli operativi verso una maggiore agilità e integrazione».
BrandNews ha un osservatorio continuo sulle gare: è vero che gran parte di quelle media si conclude con una riconferma, o si tratta di un’impressione ingannevole?
«È molto difficile fare una valutazione oggettiva: le gare vengono gestite con il contributo di consulenti diversi e qualche volta in autonomia, fare statistiche affidabili sarebbe complicato per chiunque.
Dal nostro punto di osservazione rileviamo che, nella maggior parte dei casi, le aziende indicono gare per policy – per esempio, ogni tre anni è prevista una verifica periodica – e non perché ci sia un oggettivo livello di insoddisfazione, pertanto non è detto che si debba cambiare per forza. Quando si fa una gara con tre o quattro partecipanti, di fatto l’agenzia incumbent, da un punto di vista prettamente probabilistico, ha fra il 25% ed il 33% di possibilità d’essere confermata. Ovviamente, avendo una storia pregressa, questa percentuale può incrementarsi (o decrescere) a seconda del livello di soddisfazione della relazione.
Se, comunque, proviamo a fare una statistica sulle 20 ultime gare gestite da Outcome, la percentuale di riconferma dell’incumbent è molto vicina alla probabilità statistica per cui anche gli effetti (benefici o meno) dell’essere incumbent, molto spesso, sono affievoliti. Quindi, escludendo i casi in cui la gara viene indetta perché la partnership fra agenzia e azienda non funziona più per una o entrambe le parti, non vediamo un trend ben definito.
Quello che possiamo dire è che ogni gara è una storia diversa e sull’esito impattano principalmente la storia della relazione tra cliente e agenzia, le aspettative di chi indice la gara (strategiche e di saving rispetto al passato) e la proposizione strategica e le performance delle agenzie in gara. Per tutto il resto, non esiste la formula magica per vincere e ogni competizione è figlia del suo contesto di riferimento e della storia pregressa dell’azienda».
A.C.