Un incontro organizzato dall’agenzia EJ ha esaminato strategie e scenari possibili in attesa dei dazi Usa per le aziende food e non solo
Più danni dei dazi minacciati dall’amministrazione degli Stati Uniti, sta facendo l’incertezza nell’attesa dei dazi stessi o di un probabile accordo, di cui però per ora non c’è traccia. Sia a livello industriale, con le aziende che non sanno ancora precisamente in quale scenario si troveranno a operare, sia riguardo la fiducia dei consumatori che già immaginano un ulteriore aumento dei prezzi.
Partendo da questa incognita, l’agenzia EJ ha organizzato l’incontro “Oltre i confini, investire nell’agroalimentare italiano tra dazi e nuove narrazioni” per discutere insieme ad alcuni esperti e manager del settore agroalimentare e retail le strategie e il ruolo della comunicazione in questo frangente.

Ruolo che, secondo Carla Giammillaro, new business director di EJ, sarà fondamentale e dovrà non solo infornare ma dovrà anche svolgere una funzione educativa indispensabile per spiegare e giustificare eventuali aumenti di prezzo legati al garantire la filiera e la qualità dei prodotti.
Un accordo ci sarà, secondo Simone Crolla, consigliere delegato di American Chamber of Commerce in Italia. «Il riequilibrio della bilancia commerciale è una priorità per Trump, che non ha riguardi per gli alleati storici. La nostra sensazione è che i dazi come descritti all’inizio non ci saranno e bisogna capire se rimarrà quello base del 10%. Per alcune categorie, come l’automotive, un accordo esiste già. L’accordo, insomma, ci sarà ma bisogna trovare un punto di incontro e capire quali concessioni si possono fare riguardo l’introduzione di prodotti alimentari oggi vietati sul mercato europeo».
Il mercato Usa vale il 10% delle bottiglie prodotte e vendute dal Gruppo vitivinicolo Paladin, spiega Marcello Milo, sales & brand manager Italia. «Stiamo affrontando questo problema da tempo, con alcuni dei nostri partner statunitensi che hanno fatto scorta e altri che invece hanno congelato gli ordini. Noi abbiamo deciso di condividere con loro parte della ulteriore voce di costo costituita dai dazi, continuando a investire negli Usa con roadshow e formazione. Va tenuto conto anche di un secondo aspetto dei dazi, ovvero il possibile l’innalzamento dei prezzi che andrà a riverberarsi su tutti i vini a scaffale».
Fa un passo indietro l’analisi di Ettore Nicoletto, vice presidente di Federvini, secondo cui sui dazi al momento è possibile fare solo congetture. Allo stesso tempo, questi stanno distorcendo l’analisi delle dinamiche del mercato globale del vino.
«È possibile che un aumento dei prezzi del vino del 10-15% possa scoraggiare una parte dei consumatori dirottandoli verso altri prodotti, ma è anche possibile che industria e retail aumentino di concerto tutti i prezzi. Al di là dei dazi, noi vorremmo concentrarci sulle cause strutturali del calo dei consumi del vino, che a livello globale continua da ben 7 anni. Lo attribuiamo ai cambiamenti demografici, all’aumentata sensibilità salutista che spinge a evitare alcolici e zuccheri e all’aumento esponenziale dell’offerta di alternative al vino, molto superiore a 15 anni fa. Per cui, anche se un accordo ci sarà, non toglierà la necessità di dover imparare a comunicare il vino in modo diverso».
Riposizionare verso una dimensione premium l’olio italiano ed europeo, sfruttando la notorietà della cucina italiana e dando valore ai singoli brand è la strada indicata da Emanuele Siena, marketing director di Salov, tra le principali aziende italiane produttrici di olio e storicamente votata all’export con il brand Filippo Berio, che si contende la vetta di olio italiano più diffuso all’estero con Bertolli. Per il momento i dazi paventati stanno dando al settore un certo mal di testa, ma arrivano dopo un 2024 che è stato il peggiore di sempre. «Il prezzo della materia prima è salito da 2-4 euro al litro a 10 euro per cause climatiche che non sappiamo se saranno strutturali. I fatturati sono quindi andati alle stelle ma i margini ai minimi. Abbiamo dunque lavorato gradualmente, insieme alla distribuzione, per riposizionare l’intero settore verso l’alto». Che è quello che si dovrebbe fare quando saranno attivi i dazi, puntando su un posizionamento alto che sprigiona valore attraverso lo storytelling.
Coop non esporta, se non in minima parte, ma è in prima fila nel tastare il polso ai consumatori. La presidente Maura Latini ha ricordato che ben prima dei dazi l’intera industria alimentare si deve misurare con l’inflazione climatica, che tra siccità, incendi e alluvioni ha fatto balzare in su i prezzi del cibo. E con l’inflazione che, sebbene rientrata, è rimasta nel carrello con prezzi più alti del 20%.
«Vediamo nei dazi un grande rischio per un paese trasformatore come l’Italia, sia in termini di accessibilità dei prodotti a consumatori che hanno un minore potere d’acquisto, sia a causa di un’ulteriore inflazione sui consumi interni e sull’export. Per questo ci auguriamo un dialogo con gli Usa e un accordo. Tuttavia, in queste contrattazioni, non dovrebbero essere messi sul tavolo i 40 anni di regole istituite dall’Europa per rendere i prodotti che circolano nel suo mercato più sicuri e migliori per la salute e la qualità della vita dei cittadini. Queste regole non devono essere negoziabili».
A livello di comunicazione, Latini auspica dunque una maggiore trasparenza in modo che i cittadini sappiano cosa comporterà effettivamente per le loro vite il do ut des con Trump.
Quindi che fare? Federico Capeci, Ceo di Kantar Italia, ha spiegato che le aziende dovrebbero investire in brand equity e posizionamento, in quanto l’awareness va oggi considerata come un acceleratore di un posizionamento ben fatto. Purtroppo, enfatizzare le propria differenza ormai non paga più di tanto perché troppi si sono buttati su questa strada.
Marco Costaguta, fondatore di Long Term Partners ed esperto di consulenza strategica per il FMCG in Italia, ha infine raccomandato alle aziende di prepararsi al peggio e di aggregarsi per creare massa critica e aprirsi a nuovi mercati. «Credo che le parole chiave debbano essere partnership, massa critica e integrazione: tra aziende concorrenti e complementari che insieme possono trovare la forza per cercare spazi in nuovi mercati. Sarà indispensabile soprattutto per quelle piccole, che non possono contare su grandi budget di comunicazione, anche se lo scenario peggiore per i dazi non dovesse verificarsi».
F.B.