Come dati, insight e creatività lavorano su Spotify per connettere i brand ai momenti che contano per gli ascoltatori

Abbiamo approfondito con Alberto Mazzieri, Head of Sales Southern Europe di Spotify, le tendenze emerse dalla ricerca ‘Culture Next’ toccando gli insight rilevanti per i brand, come questi possono essere usati per comunicare in modo utile ed efficace con la Gen Z, il ruolo cruciale del video nello sviluppo della piattaforma e il supporto creativo da parte del nuovo Creative Lab

Alberto Mazzieri – Head of Sales Southern Europe Spotify

Sempre più social, sempre più soli. Così si sente buona parte dei ragazzi della Generazione Z secondo l’ultimo report ‘Culture Next’ realizzato da Spotify per indagare, attraverso un mix di dati di prima parte e ricerche quali-quantitative, i comportamenti della fascia anagrafica più rilevante per la piattaforma e che, spesso, finiscono poi per influenzare anche il resto dell’audience.

Dicevamo dunque ragazzi più isolati digitalmente, e che cercano nella condivisione di playlist e podcast un modo per esprimere la propria identità, rompere il ghiaccio e trovare le giuste affinità con gli altri. Abbiamo approfondito gli insight emersi dalla ricerca parlando con Alberto Mazzieri, Head of Sales Southern Europe di Spotify, cercando di capire come questi possano essere combinati con le funzioni della piattaforma e la creatività dell’agenzia creativa in-house per permettere ai brand di comunicare con modalità allineate al sentire del pubblico.

Blendships, Playlist Diary, Mainstreaming sono i tre trend principali che la ricerca ha individuato quest’anno. Quali sono le opportunità per i brand per ciascuna di queste tendenze?

«Quest’anno abbiamo evidenziato tre tendenze, che abbiamo chiamato ‘Blendship’, ‘Playlist Diary’ e ‘Mainstreaming’ e dalle quali emerge l’importanza di avere un coinvolgimento profondo e una via d’uscita da un affaticamento, una solitudine, un’esperienza non sempre positiva quando si passa così tanto tempo sulle piattaforme digitali – spiega Mazzieri -. Per Spotify parliamo mediamente di una fruizione di oltre due ore al giorno da parte dei nostri utenti, dunque sentiamo la responsabilità di far sì che, quando la sessione termina, si sentano meglio di quando l’hanno cominciata. Ciò può accadere grazie a un mix di funzionalità tecnologiche che permettono alle persone di mettersi in contatto e condividere i propri gusti musicali con altri utenti all’interno della piattaforma, creando relazioni credibili, reali, fidate. Questo genera un senso di fiducia, e un’aspettativa anche riguardo ai brand presenti su Spotify, chiamati a creare messaggi e iniziative legati al mood e al momento che sta vivendo l’ascoltatore».

In questo modo, i dati sul comportamento degli utenti si trasformano in opportunità di targetizzazione, utili per capire come interpretare e capire il mood in cui la persona si trova nel momento in cui ascolta e quindi presidiare alcuni di questi momenti in modo efficace con un messaggio costruito ad hoc ed esperienze personalizzate.

Anche le esperienze live contano di più, seguendo questa logica?

«La stanchezza e la solitudine generata dal troppo tempo speso sui social portano a valorizzare l’interazione in real life e le esperienze, sia musicali che non. Abbiamo scoperto che, in modo abbastanza sorprendente, i ragazzi si incontrano per ascoltare o commentare insieme episodi di podcast, esattamente come accade per le serie televisive del momento. Quindi per un brand costruire il proprio posizionamento facendosi percepire come colui che permette di partecipare a esperienze reali, sponsorizzando eventi o tour, o associandosi agli artisti e mettendo in palio i biglietti, assume un grande valore perché i Gen Z oggi riconoscono il motivo per cui un brand ha quel ruolo, ha finanziato una certa playlist o sostiene una certa iniziativa, che senza il suo supporto probabilmente non sarebbe potuta esistere. Il pubblico riconosce l’accordo commerciale che c’è alle spalle, percepito in modo molto più chiaro di quanto non capitasse in passato».

Avete già organizzato eventi sul territorio aperti a sponsor?

«Noi in Italia non produciamo eventi nostri per conto dei brand, ma non è escluso che un giorno non possa accadere. Negli Stati Uniti ci sono già esempi della presenza sul territorio di Spotify associata a un brand. Ci è invece capitato di fare consulenza musicale alle aziende su come organizzare i loro eventi e aiutandole a promuoverli su Spotify, perché qui c’è l’audience che cercano, oppure nella scelta degli artisti a cui associarsi. Ad esempio abbiamo aiutato Borotalco a identificare il testimonial ideale, coerente con un certo posizionamento e con l’obiettivo di interesse i ragazzi più giovani; o Aperol a scegliere le città da toccare durante il tour estivo, in base all’artista, guardando dove questo è più ascoltato ».

Vale lo stesso per la tendenza ‘Playlist Diary’, ovvero il modo in cui Spotify fa da colonna sonora ai momenti chiave della vita dei Gen Z. Il che non è certo una novità, chiaro, ma ora comporre playlist e condividerle è diventato ancora più facile. «Le playlist sono lo strumento principale per identificare quali possono essere i momenti o gli argomenti che stanno a cuore al target. Sappiamo come la musica sia la colonna sonora della vita di tutti, non solo dei ragazzi, ma nel loro caso le canzoni associate ai momenti importanti – il primo bacio, il primo esame, la prima casa da soli – li accompagneranno per sempre. Quindi per un brand associarsi a certe playlist è un investimento a lungo termine. Aperol, ad esempio, ha fatto un lavoro molto interessante per presidiare il momento dell’aperitivo. Tutto ciò, inoltre, può essere reso più efficace attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, inserita all’interno dell’esperienza dell’utente per portare valore».

Il terzo trend è ‘Mainstreaming’, da cui emerge per la prima volta che l’80% dei ragazzi definisce i generi che un tempo erano considerati underground, di nicchia, in modo molto più mainstream. «Oggi gli artisti più ascoltati in Italia sono per lo più rapper – spiega Mazzieri -. Una volta seguire un genere di nicchia permetteva ai ragazzi di definirsi e differenziarsi rispetto alla massa. Adesso sta venendo meno l’esigenza di identificarsi con qualcosa di alternativo e non c’è più timidezza a definirsi mainstream, perché questo è effettivamente ciò che piace, e lo si condivide con più persone. Anche in questo caso, i brand vedono aumentare le proprie opportunità, grazie alla possibilità di raggiungere un vasto pubblico non solo attraverso le playlist ad alta rotazione, ma anche quelle che soddisfano gusti specifici».

Presidiare i momenti importanti per gli ascoltatori porta con sé vantaggi misurabili. Come spiega Mazzieri, secondo la ricerca Sonic Science ciò genera un’attenzione superiore, con una dispersione minima del messaggio pubblicitario.

«Lo studio ci dice che l’attenzione si trasferisce per il 93% dal contenuto editoriale a quello a quello pubblicitario, sia musica che podcast. Questo dipende in parte dal minore affollamento pubblicitario che abbiamo sulla piattaforma, ma anche dal valore aggiunto di una comunicazione che si inscrive, in modo coerente e non fastidioso, in una preferenza ben definita da parte dell’ascoltatore. Con i podcast abbiamo anche un’attenzione maggiore nel proteggere la user experience, in quanti gli annunci nei podcast raggiungono anche gli utenti premium, meno abituati all’esposizione a messaggi pubblicitari.

Streaming Ad Insertion

In questo ci aiuta la tecnologia SAI Streaming AD Insertion, che permette di avere nei podcast una delivery degli annunci pubblicitari migliore e soprattutto più tracciabile e misurabile riguardo l’impatto nelle diversi fasi del funnel, e non solo sulla parte alta. Abbiamo infatti strumenti di misurazione, come Adsquare, che permettono di misurare il traffico verso i punti vendita, molto utilizzati nell’automotive, ad esempio dal Gruppo Stellantis che in Italia li ha adottati come standard sulle campagne più rilevanti».

Come viene utilizzata l’intelligenza artificiale su Spotify per migliorare l’esperienza degli utenti?

Daylist

«Usiamo soluzioni di machine learning già da anni e l’AI è l’ultima frontiera della personalizzazione, in quanto permette di creare profili d’ascolto in modo ancora più personalizzato e immediato. Da qui è nata una funzionalità presente anche in Italia e molto apprezzata come Daylist, una playlist personalizzata che varia durante la giornata, a seconda che la si ascolti al mattino, al pomeriggio o di sera, aggiungendo nuovi brani che potrebbero piacere all’utente seguendo il suo comportamento nei giorni precedenti.

AI DJ

Un altro prodotto, ora disponibile solo in inglese e spagnolo, è AI DJ: un’esperienza di interazione con una voce che ti presenta i contenuti musicali come fa un vero deejay, rivolgendosi in modo personale all’ascoltatore e che va a recuperare musica ascoltata magari lo stesso giorno due anni fa. Visto il successo che sta avendo, probabilmente arriverà in Italia.

In UK e Australia abbiamo inoltre lanciato AI Playlist, ovvero una playlist generata sulla base degli ascolti personali uniti a indicazioni offerte direttamente dall’utente, inviando query come: “Oggi sarà una giornata complicata, fammi una playlist che mi dia la carica”, aggiustandola nel tempo quanto a generi musicali e brani con nuovi input. L’obiettivo, come dicevamo, è sempre far sentire le persone alla fine della sessione meglio di come stessero prima, senza aver la sensazione di aver sprecato tempo. L’AI agisce da facilitatore, da amplificatore, di un’esperienza sempre più personalizzata e rilevante».

Avete annunciato recentemente un nuovo accordo con The Trade Desk incentrato sulla pubblicità video. Che ruolo ha il video nella strategia di Spotify?

«Il video è probabilmente l’elemento principale dell’evoluzione alla quale assisteremo nei prossimi anni. I video podcast stanno registrando un successo enorme e sono già oltre 250.000 quelli catalogati sulla piattaforma, un fenomeno che sta cambiando il modo di utilizzarla. Può apparire controintuitivo pensare che così tante persone ascoltino Spotify guardando video, ma ora siamo mediamente intorno al 20% del tempo speso sulla piattaforma passato con lo schermo attivo, grazie a funzionalità come i video musicali degli artisti, le lyrics e appunto i video podcast. La richiesta è venuta direttamente dai creator, che avevano a disposizione molto materiale video e ora possono raggiungere la loro fanbase su Spotify anche attraverso contenuti visuali. L’accordo siglato con The Trade Desk si inscrive in questo contesto: renderà disponibile agli inserzionisti una maggiore inventory pianificabile in programmatic, insieme alla possibilità di inserire i brand in prodotti video, che in grandissima parte sono audio-on al contrario dei social media».

A giugno ha debuttato la vostra agenzia in-house. Come sta affiancando le aziende nei loro progetti di comunicazione?

«Creative Lab è un ulteriore supporto che offriamo ai brand con cui collaboriamo di più e in modo più continuativo. C’è un team basato in Italia ma che opera in modo molto distribuito, con risorse in tutti i paesi d’Europa, e lavora in modo consulenziale supportando i brand e le loro agenzie nello sviluppo di idee creative che sfruttino le potenzialità di Spotify nel modo migliore, sia per le funzionalità della piattaforma, sia per gli insight, come quelli della ricerca Culture Next. Tra i brand con cui ha già lavorato ci sono Aperol, Rockstar, Ho Mobile del gruppo Vodafone con un’attività che si distingue per la personalizzazione e la declinazione del messaggio creativo nel mondo audio.

E Heineken, che in modo molto brillante ha realizzato un’iniziativa legata già a un trend di quest’anno, ovvero lo stress causato dal digitale. Heineken, con il nostro team creativo e la loro agenzia, ha realizzato una campagna multisoggetto giocando su quanto le notifiche sullo smartphone ti impediscano di vivere appieno la vita reale, partendo dall’insight del disturbo dato dalle notifiche e trasmettendo il messaggio del brand sul valore della vita sociale in real life»

Un’ultima domanda riguardo la raccolta pubblicitaria. A livello globale il Q2 2024 si era chiuso con un aumento del 13%, con una crescita a due cifre in tutte le aree geografiche. Qual è l’andamento in Italia? 

«Il trend rimane positivo, l’Italia vi è assolutamente allineata ed è uno dei paesi che negli ultimi anni ha sempre contribuito a trainare la crescita. Il mercato ci sta riconoscendo sempre di più un ruolo di partner per raggiungere i loro obiettivi di comunicazione, grazie al nostro lavoro di education e alle soluzioni che nel tempo sono state rilasciate. Ci aspettiamo dunque che, con la crescita dei video, i risultati possano crescere sempre di più».

F.B.

Come dati, insight e creatività lavorano su Spotify per connettere i brand ai momenti che contano per gli ascoltatori ultima modifica: 2024-11-11T11:10:46+01:00 da Redazione

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