Andrea Santagata, AD area Digital e MarTech di Mondadori Media e Chief Innovation Officer del Gruppo Mondadori, ha risposto a tutto campo alle domande di Brand News sul tema del rapporto tra editoria e intelligenza artificiale e sulla strategia del Gruppo a riguardo
La strategia del Gruppo Mondadori per governare l’intelligenza artificiale affinché non diventi entropia: investimenti con misura, ricordando sempre la ‘lezione’ del digitale nei primi anni 2000, il rispetto dell’IA Act, l’idea di contribuire allo sviluppo del sistema paese. L’AD area Digital e MarTech di Mondadori Media e Chief Innovation Officer del Gruppo Mondadori risponde a tutto campo sul tema dell’IA, chiedendosi ancora se sia davvero ‘intelligente’ e, nel caso, di che tipo di intelligenza si tratti.
C’è un suo post dell’anno scorso su LinkedIn in cui raccontava di aver provato Bard (oggi Gemini, ndr) chiedendo la ricetta del tiramisù e, interrogandolo ulteriormente sulle fonti arrivava a fargli confessare di non avere i diritti per mostrare le ricette e di non avere la possibilità di distribuirle senza l’approvazione di chi detiene il copyright. Dopo un anno è cambiato qualcosa?
«A dire la verità, non ho più ripetuto l’esperimento, ma credo ci sia ancora grande opacità nell’utilizzo delle fonti dati: il tema della tutela del copyright rimane aperto e centrale. Le pagine web dei nostri brand (GialloZafferano, MypersonalTrainer, Focus e altri) sono state inibite ai crawler IA, ma ritengo che questo non sia ancora efficace e che si tratti solo di una technicality. Credo che il tema dei contenuti, dei diritti acquisiti e del rispetto delle regole non possano essere messi in secondo piano nel quadro di un utilizzo sempre più ampio dell’IA da parte di cittadini e aziende, oltre a doverci porre molte domande su come si possa gestire, in modo sano e trasparente, una crescente concorrenza imposta dall’IA, fra publisher, piattaforme e creatori di contenuti».
Quanta IA c’è dentro il Gruppo Mondadori? E come viene governata? Quali sono le norme e le regole a cui vi attenete?
«Scherzando potrei rispondere forse già troppa e allo stesso ancora troppo poca. Come Gruppo abbiamo deciso di affrontare il tema dell’IA in modo strutturale, partendo, innanzitutto, dal definire obiettivi sia di breve sia di medio-lungo periodo, ma soprattutto chiedendoci quale fosse la migliore governance di questo processo e come dovevamo organizzarci. Da un lato, vogliamo favorire una conoscenza diffusa dell’IA all’interno dell’azienda, sia in termini di evoluzione degli strumenti di lavoro sia per le opportunità offerte come tecnologia; dall’altro, ambiamo a far evolvere alcuni nostri prodotti e processi aziendali per arricchire, dove possibile, la nostra offerta e rendere più efficiente in molte aree il lavoro quotidiano.
Da un punto di vista organizzativo, abbiamo iniziato a coinvolgere circa 1/4 delle persone del Gruppo con corsi di prompt e molta formazione specifica, attività, quella della formazione a più livelli, che riteniamo un passaggio essenziale. Abbiamo inoltre creato un piccolo team dedicato all’IA assumendo specialisti esterni che supportano un tavolo più ampio dove siedono rappresentanti di tutte le business unit aziendali e dove ci si confronta periodicamente.
Siamo desiderosi di far evolvere i prodotti e i modelli di business del Gruppo, soprattutto quelli digitali, integrando le potenzialità dell’IA. Fondamentale è comprendere le possibilità offerte dalle varie soluzioni di IA, che sono molteplici e in continua evoluzione, scegliendo quelle più attinenti alle nostre aree di business, e verificandone, infine, fattibilità tecnica ed economica. Con questi obiettivi, e volendo ritagliarci un ruolo centrale nell’ecosistema italiano dell’IA, nel maggio scorso abbiamo dato vita a PLAI, il nostro acceleratore di start-up che opera in ambito IA generativa. Penso che sia soprattutto la governance molto strutturata che ci siamo dati in questo ambito l’elemento che ci distingue maggiormente rispetto ad altri player».
Gli investimenti destinati all’IA nel vostro Gruppo sono molto ingenti?
«Quello che sappiamo è che è importante lavorare, contaminarsi e investire nell’IA ora e subito, per imparare, sperimentare e farla entrare nella nostra cultura aziendale, per coglierne nel tempo i maggiori benefici. È particolarmente importante investire in modo corretto in termini di ‘dimensione’ degli investimenti stessi, trovando un equilibrio fra giusta ambizione e sostenibilità nel tempo, sapendo che investire è necessario, ma che per avere risultati servirà tempo.
Ripensiamo all’avvento del digitale degli anni 2000, quando di soldi nel settore ne furono investiti, anche dalle aziende italiana, in pochi anni e forse troppo in fretta, davvero tanti e in modo disordinato e purtroppo spesso ne furono persi spesso altrettanti per poi tirare i remi in barca proprio quando il mercato stava finalmente maturando. Gli editori non devono commettere nuovamente questi errori. L’IA cambierà molte cose, probabilmente in fretta, ma non tutto e subito. Il suo impatto, su cosa impatterà e come, lo vedremo nel medio periodo, ed è a questa prospettiva che dobbiamo preparaci da oggi».
Cosa state già facendo in termini di IA?
«Tante cose, partendo dall’ambito digitale dove era più semplice sperimentare. Due progetti concreti sono già stati lanciati. Da qualche mese stiamo proponendo le ricette di GialloZafferano in 5 lingue: la traduzione dell’intelligenza artificiale non è perfetta, ma è più che accettabile e in questo modo abbiamo allargato l’utenza da italiano e inglese anche a francese, tedesco, spagnolo e portoghese. Stiamo inoltre iniziando a usare l’IA per soluzioni avanzate sull’advertising online, nel mondo del performance marketing, per la qualificazione delle lead, ambito nel quale stiamo vedendo ottimi risultati. Due primi casi molto concreti ed efficaci».
Due grandi gruppi editoriali italiani hanno annunciato accordi di collaborazione strategica con OpenAI, uno per utilizzare SearchGPT, l’altro per raggiungere un pubblico internazionale più ampio con contenuti in italiano. Qual è la posizione del Gruppo Mondadori in proposito? C’è una terza via tra la posizione del New York Times che protegge espressamente i propri contenuti e ha fatto causa ad OpenAI e quella degli editori che hanno siglato accordi? Questa terza via è quella che il Gruppo Mondadori ha siglato con Fastweb per allenare il Large Language Model Miia?
«Non entro nel merito delle scelte di altri perché non so cosa prevedano in dettaglio i loro accordi in termini di tutela dei contenuti e dei diritti connessi. Stiamo anche noi riflettendo su questi temi, ma solo riguardo ai nostri contenuti digitali.
Per quanto ci riguarda, Fastweb ha inaugurato a luglio il suo primo supercomputer in Italia dedicato all’IA generativa (NeXXt AI Factory) e ha presentato la prima release di Miia, il nuovo LLM addestrato nativamente in italiano su dati italiani di qualità sia pubblici sia di aziende terze. Anche grazie all’accordo con il Gruppo Mondadori potrà contare su un importante set di contenuti editoriali provenienti dai nostri brand media come GialloZafferano, Focus e MypersonalTrainer.
L’accordo si fonda sulla nostra convinzione che un modello linguistico nazionale basato sulla lingua italiana, come quello di Fastweb, sia un asset utile a far cogliere al sistema paese le tante opportunità legate alla rivoluzione dell’IA. Inoltre, il modello di IA sviluppato da Fastweb si basa sulla massima attenzione alla tutela dei dati e del copyright, aspetti essenziali per armonizzare sviluppo e diritti, innovazione ed equa distribuzione del valore. Fastweb sarà, quindi, un partner importante per lo sviluppo dell’AI all’interno di tutto il Gruppo Mondadori, oltre ad essere tra i partner di PLAI».
Preoccupato per l’impatto potenziale dell’IA sulle esperienze nei motori di ricerca?
«Ormai da anni Google si sta sempre più trasformando da un motore di ricerca in un ‘motore di risposta’ volto a trattenere gli utenti all’interno delle sue pagine. L’IA non fa altro che accelerare il processo in atto. Ma, oltre a questo, indubbiamente l’IA aumenterà la produzione di contenuto ‘finto’ o di bassa qualità immesso ogni giorno in rete, che non vuol dire per forza falso, ma rabberciato da fonti diverse. Più la rete sarà inondata di questi contenuti, più difficile sarà la probabilità di emergere da parte dei produttori professionali come noi. Penso sia fondamentale per noi saper usare professionalmente tecnologie come l’IA per continuare a produrre contenuti di qualità e distintivi. Pochi, riconoscibili e di valore. La risposta alla quantità sarà, paradossalmente, produrre meno, ma sempre meglio».
Cosa è cambiato rispetto a quando creavate Skill per Amazon Alexa così che i consumatori avessero accesso ai servizi vocali? Perché Alexa non ha avuto il successo che tutti si aspettavano?
«La prima tecnologia di Alexa, molto innovativa, non era forse ancora matura. Oggi siamo in grado di dialogare molto più fluidamente con la tecnologia che da allora si è molto evoluta. Vedremo cosa succederà in futuro: credo che probabilmente si potrà evolvere verso un servizio premium a pagamento».
Ha detto a proposito di IA che “si potrebbe discutere sul termine ‘intelligenza’”: cosa intende?
«Non esiste una definizione univoca di ‘’intelligenza’, ma ne esistono diverse e questo già dice molto. Alcune di queste possono essere applicate senza dubbio anche a quella ‘artificiale’: per esempio, la capacità di risolvere problemi e di imparare dalle esperienze passate. L’intelligenza umana è – seguendo altre definizioni – molto più legata all’individualità, all’esperienza di ciascuno, mentre quella dell’IA, per come si alimenta e allena, è una somma di infiniti contributi, è l’esperienza dei tanti. Un’altra definizione di riguarda la capacità di attribuire un conveniente significato in relazione al vissuto e questo è legato in maniera inscindibile anche al campo dei sentimenti. Per me non esiste intelligenza senza sentimenti, senza emozioni, senza il vissuto umano individuale. Come si comporta in tal senso l’IA? Continuerò a pormi la domanda».
A.C.