Wavemaker Italy ha promosso un webinar dedicato ai chief marketing officer per aiutarli a parlare ai chief financial officer evidenziando i vantaggi che derivano dal mantenere i budget di marketing
Sono tempi difficili per gli investimenti di marketing: lo hanno evidenziato bene l’ultima trimestrale di P&G e la ricerca di WFA con Ebiquity e che l’advertising sia ancora vista come voce di spesa sacrificabile è una vecchia abitudine dura a morire. Wavemaker Italy è passata al contrattacco con un webinar dedicato ai chief marketing officer per aiutarli a parlare ai chief financial officer evidenziando i vantaggi che derivano dal mantenere gli investimenti di marketing.
Francesco Riccadonna, General Manager, e Filippo Giannelli, Strategy Lead di Wavemaker Italy, hanno ‘razionalizzato’ il problema nel corso del webinar ‘Tempo di budget pressure: cosa dire al tuo CFO’, sottolineando quanto sia più repentino il calo delle vendite per i brand più piccoli e più giovani, come lo stop alla comunicazione costi di più nel momento in cui si riprende a investire per recuperare equity e perché bisogna evitare di invischiarsi nella spirale delle promozioni.
Mantenere gli investimenti permette di proteggere la bottom-line nel breve di sostenere la potenziale crescita futura, limitando i danni e consolidando la base per la ripresa, generando impatto oggi per influenzare le future scelte d’acquisto. Tutto molto vero, per i manuali di marketing, ma nella pratica?
BrandNews ha approfondito con Riccadonna e Giannelli strumenti, tattiche e strategie suggerite ai clienti dall’agenzia media per proteggere il brand. Tra le best practice, Wavemeker sottolinea l’importanza del monitoraggio di metriche complementari, massimizzare le sinergie fra branding e performace, razionalizzare il mix di canali per ridurre la frammentazione del budget.
Visto che è opinione generale che gli investimenti saranno ridotti, fino a quanto in percentuale è possibile farlo senza danneggiare irreparabilmente la marca?
“La risposta è ‘dipende’: dalla forza relativa della marca; dalla sua posizione nel ciclo di vita; dall’articolazione del portfolio e dal conseguente livello di frammentazione dei budget; dall’affollamento della categoria; da cosa decidono di fare i competitors quando si taglia; da quanto un budget è già vicino alla soglia minima di visibilità”, spiega Riccadonna. “In linea di massima una marca piccola, in un mercato competitivo può aspettarsi impatti maggiori rispetto a una marca dominante con competitors distanti. Ma in mezzo a questi due estremi ci stanno infinite nuances”.
Un diverso media mix, con una selezione maggiore di mezzi e canali e più addressability permetterebbe di limare il budget senza tagli profondi?
«Addressability o Precision Marketing non sono la panacea a tutti i mali, ma leve funzionali allo sviluppo di piani pienamente integrati”, sostiene Giannelli. “Tuttavia – in caso di tagli inevitabili – possono rivelarsi come una soluzione ‘smart’ a disposizione dei CMO per poter salvaguardare quanto più possibile la bottom-line aziendale attraverso una spesa media più contenuta rispetto a periodi normali.
In sostanza: se proprio è necessario tagliare, allora virare sul precision consente di trovare un compromesso e bilanciare efficacia ed efficienza attraverso una massimizzazione del ROI da un lato, ma anche d’altro canto attraverso elementi di altra natura come in risparmio nei costi di produzione”.
Dall’osservatorio di Wavemaker, ci sono state modifiche all’approccio a breve che sembra imperante ormai da molti anni?
“Direi che negli ultimi anni, dopo una generale abbuffata di performance marketing, abbiamo osservato una certa tendenza delle marche a riconsiderare un bilanciamento più equilibrato della quota di spese di marketing dedicata al brand, figlia anche di una maggiore consapevolezza del contributo della fase ‘priming’ alla fase di conversione. Questo anche nei business direct response. Certo è che la fase di crisi economica porta ancora a una logica di ottimizzazione che riguarda innanzitutto la parte di investimento che agisce nel medio-lungo periodo, perciò, possiamo aspettarci che in questo momento i budget dedicati al branding tornino ‘sotto esame’ rapidamente e per primi”, spiega Giannelli.
Corretto realismo cui però Giannelli contrappone comunque 4 buoni motivi per continuare a comunicare: creare valore per il consumatore e posizionarsi oltre la commodity; difendere il proprio price-index giustificando il value for money del brand; sostenere la domanda raggiungendo nuovi clienti e creando predisposizione d’acquisto; proteggere la brand equity. Secondo Momentum Study Benchmarks Cross-Categoria (2012-2022) di Wavemaker Global, creare una forte considerazione per un brand ne rende 9 volte più probabile l’acquisto.