Nell’era dei mass media era più facile per aziende e brand gestire momenti di difficoltà, seri o contingenti che fossero i problemi. Ed era di gran lunga più breve anche l’elenco degli errori in cui un’impresa, una marca o un testimonial potevano incorrere. Ora il contesto è cambiato.
«Basti pensare alla sensibilità, altissima, che esiste sui temi della sostenibilità e della corporate social responsability e su quelli della diversity & inclusion – dichiara Cristina Milzoni, content manager di Rebold Antevenio Italia -. Prima nelle crisi di reputation non si precipitava all’improvviso e senza paracadute. Ed era molto più facile, tranne in casi particolari e rari, riportare in attivo il livello percepito del proprio patrimonio valoriale».
Fermare il passaparola negativo sulle piattaforme
Nell’era della comunicazione social, one to one, meno gestibile dall’alto nei suoi percorsi, la prima indicazione utile è quella di evitare di rischiare situazioni di criticità.
«Ogni relazione, ogni touchpoint, ogni canale – continua Milzoni – può essere decisivo. Contano più che mai quelli digitali, ma conta anche tutto il resto: un video o un annuncio sbagliati. Oppure una customer experience deludente generata in presenza. Può esporre anche quella ad un passaparola negativo e innescare un effetto domino sulle piattaforme».
Ci sono però, sui social e online, tanti strumenti di difesa utilizzabili.
«Si può reagire più efficacemente se si è costruito un sistema, forte e strutturato, per lavorare sulla propria reputazione online; se sono già aperti canali di relazione e ingaggio dei propri interlocutori». La prima cosa da fare? «Essere trasparenti, decidere una strategia comunicativa, assegnare con precisione ruoli e compiti. Senza che ci siano incomprensioni nei team impegnati in prima linea».
Le prime misure operative sono di analisi.
«Serve innanzitutto – commenta Milzoni – un monitoring approfondito dei media offline e digital. Bisogna misurare la febbre alla crisi, vedere a che velocità si sta diffondendo e quale è il sentiment degli utenti».
Quindi? Se il problema è solo di comunicazione, le cose sono un po’ più semplici. E bisogna agire su due elementi chiave: chiedere scusa per l’errore commesso, fornire soluzioni dirette ai problemi che si sono prodotti.
Tool e canali da utilizzare. Il termometro del social listening
«Per guidare questo lavoro – continua la content manager – si possono utilizzare i tool che aiutano a tenere traccia delle parole chiave più utilizzate sull’azienda e il brand. Una volta acquisita una comprensione reale dell’entità della crisi, la risposta deve essere proporzionale e modulare. E può usare tutti i canali disponibili: le proprie pagine social, ma anche i media tradizionali. Coordinando tutto con azioni di pr a più largo respiro».
E’ necessaria una risposta pubblica, soprattutto se la crisi è stata generata sulle piattaforme digital.
Sottolinea Milzoni: «La cosa fondamentale è che l’azienda si assuma la responsabilità, mostri cosa è realmente accaduto e racconti come il brand sta lavorando per risolvere il problema. Nascondere la crisi o ignorarla la farà solo acuire».
Il passo successivo? «Ovviamente è quello di verificare e misurare l’effetto delle azioni intraprese. I social media, in particolare, sono un termometro immediato delle reazioni. In generale, devi assicurarti che la percezione e il sentiment sul brand stiano cambiando, migliorando, altrimenti devi prendere altre misure».
Errori da non fare? Milzoni non ha dubbi: «Pensare che la crisi si risolva da sé, che non sia necessario intervenire in modo tempestivo e coerente, che i problemi creati vengano dimenticati. In ogni caso – conclude la manager – in questo ambito bisogna mantenere un alto livello di attenzione alle peculiarità di situazioni che, spesso, variano di momento in momento e in maniere molto veloce».