di Olivier Bovis, Head of Sales for Media Solutions, PSE
Le produzioni broadcast nascono tutte allo stesso modo: una sceneggiatura, l’occhio creativo del regista, degli artisti e le ottiche per le riprese. Ma da quel momento in poi, a partire dalla fase di post-produzione fino a quella di distribuzione, le sfide sono in costante evoluzione.
Il proliferare dei servizi di streaming video on demand (SVoD) ha cambiato profondamente il modo in cui consumiamo i contenuti. Secondo l’Ofcom – Media Nations Report 2020, il consumo di servizi SVoD come Netflix, Amazon Prime Video e Disney+ ha registrato il maggiore aumento nel Regno Unito: nell’aprile del 2020 la quantità media di contenuti visti per utente era pari a 1 ora e 11 minuti, cioè 37 minuti in più rispetto al 2019. Sebbene i lockdown nazionali istituiti per contrastare la pandemia di COVID-19 abbiano senz’altro incrementato il consumo di contenuti SVoD, a giugno le cifre risultavano comunque aumentate dell’11% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Mentre i broadcaster si affidano a un pacchetto di programmi organico, lo SVoD permette agli spettatori di accedere a un’ampia libreria di contenuti da guardare on-demand. Inoltre nel 2020 sono stati annullati eventi sportivi e rimandate o cancellate riprese e produzioni programmate, con conseguente brusco calo di entrate pubblicitarie. Per i broadcaster non è mai stato così indispensabile diventare più agili e rinnovare i propri modelli d’impresa per soddisfare la domanda di ulteriori contenuti proveniente dal pubblico.
Fattori legati al passato hanno tuttavia ostacolato l’adozione di modelli d’impresa nuovi e più dinamici.
L’evoluzione dei modelli d’impresa per il broadcast
La catena di distribuzione dei modelli di business per il broadcast è sempre stata tendenzialmente piuttosto rigida. In origine, questo dipendeva dalla presenza di grandi broadcaster e produttori con cicli di sviluppo piuttosto lunghi. Ma l’attuale e ineguagliata domanda di contenuti di qualità su molteplici canali e piattaforme digitali, cresciuta durante un periodo di rallentamento o addirittura arresto della produzione, ha reso tale situazione insostenibile.
I titolari di contenuti media sono sempre più alla ricerca di soluzioni che consentano loro di digitalizzare le proprie operazioni. Passare a un modello di business digitale permette infatti di aumentare la quantità di contenuti creata secondo necessità, riducendo contemporaneamente i costi. È tuttavia raro che lo stesso sistema funzioni bene per business diversi: ciascun broadcaster richiede una soluzione su misura che preveda un equilibrio fra efficienza operativa, costi e flessibilità. Per tale ragione molti si rivolgono a tecnologie come cloud e piattaforme distribuite, ad esempio la piattaforma collaborativa HIVE o il pacchetto di soluzioni cloud Ci di Sony.
Secondo Ofcom, i broadcaster commerciali che hanno scelto l’evoluzione digitale registrano ora un incremento nelle entrate pubblicitarie tramite video broadcast on demand (BVoD) corrispondente in tempo reale a un aumento medio del 24% fra il 2015 e il 2019, arrivando a 452 milioni di £ l’anno scorso. Si tratta di un vero e proprio toccasana per quei broadcaster che si sono affidati a flussi di entrate pubblicitarie più tradizionali, specie se consideriamo che la maggior parte dei proventi in quell’area sono da sempre collegati a eventi programmati di grande rilievo, come gli Europei di calcio, le Olimpiadi e altre manifestazioni dal vivo, proprio quelli che durante quest’anno hanno subito l’impatto più drastico.
Semplificare le linee di credito per il settore broadcast
Il settore broadcast dipendeva, un tempo come oggi, in larga parte dai proventi pubblicitari. Alla luce della competizione aggressiva da parte di piattaforme del calibro di Netflix, il settore dei media ha dovuto affidarsi a nuovi metodi pubblicitari, fra cui le opportunità digitali, per evitare la potenziale perdita di questo imprescindibile flusso di entrate. Nonostante tale precauzione, tuttavia, resta difficile esprimere pronostici in merito alle entrate pubblicitarie, al punto che i professionisti finanziari considerano ad alto rischio l’intero settore dei media (incluso quello artistico). Ciò rende più difficile ai broadcaster privati e alle attività ausiliarie del settore mediatico (società di produzione e noleggio) procurarsi i finanziamenti necessari per investire in hardware, software e infrastrutture (spesso di considerevoli dimensioni).
Considerando la notevole entità delle spese richieste dalla digitalizzazione integrale del modello operativo di un broadcaster e la simultanea necessità di un investimento quasi costante in nuove tecnologie, per esempio nel passaggio da HD a 4K, il settore ha dovuto valutare ipotesi di finanziamento alternative. In quest’area i broadcaster del servizio pubblico, in maniera peraltro insolita, sono più avanti del settore privato, con il governo disposto a stanziare quanto basta per mitigare parzialmente il rischio percepito. Questo problema è trasversale, e coinvolge tanto il professionista che vuole acquistare una sola telecamera quanto il grande broadcaster commerciale che necessita di rivoluzionare i propri processi produttivi. Assistiamo dunque all’emersione di due distinte tendenze chiave.
In primo luogo rileviamo, nel settore dei media, una crescente propensione a procurarsi hardware e software tramite noleggio e leasing. I pagamenti sono dilazionati su periodi più lunghi e talvolta si sceglie di non procedere affatto all’acquisto. Nonostante abbia l’indubbio pregio di non costringere a grandi investimenti in un’unica soluzione, i grandi produttori hanno sempre avuto difficoltà ad adattarsi a questo modello.
In secondo luogo, quando non è possibile ricorrere a schemi di leasing o noleggio, assistiamo a un aumento delle partnership branded. In pratica, soggetti che ricoprono ruoli diversi nell’ecosistema del settore broadcast stringono alleanze e collaborano su singoli progetti. Poiché ciascun soggetto ha alle spalle la propria linea di credito, le responsabilità e i rischi finanziari sono distribuiti; ciò rende più semplice raccogliere i fondi necessari a portare a termine il progetto.
Dalla qualità premium “di serie” alla qualità premium “on-demand”
Un altro trend chiaramente visibile è lo spostamento verso la scalabilità delle opzioni premium. In passato, i broadcaster dovevano esaminare il palinsesto dei contenuti da produrre e assicurarsi che la propria infrastruttura fosse all’altezza di quelli con i requisiti più onerosi. Ad esempio, si producevano eventi come un campionato sportivo, un’elezione politica o una fiction a puntate di primo piano solo disponendo tutto l’anno di tecnologie top di gamma o all’avanguardia. Questi eventi una tantum spesso “intrappolavano” per anni il ciclo di investimenti dei broadcaster in configurazioni altamente rigide e specializzate.
I miglioramenti nell’offerta SaaS e della tecnologia cloud in generale, uniti alla crescita di modelli di locazione o leasing dell’hardware, permettono ai broadcaster di optare per soluzioni più essenziali e all’occorrenza virare verso una configurazione premium on-demand. Ora è possibile regolare la scalabilità sia verso l’alto che verso il basso per soddisfare perfettamente le esigenze che sorgono di giorno in giorno. I precedenti costi fissi per la tecnologia sono dunque sostituiti da soluzioni più dinamiche e flessibili, che rendono i broadcaster più duttili e razionali nell’uso delle proprie risorse.
Lavorare fianco a fianco per ripensare il futuro
Affinché il settore progredisca, i broadcaster devono procurarsi l’accesso a strutture dei costi più dinamiche e a flussi di entrate più flessibili. Questa però non è l’unica responsabilità del broadcaster. Poiché la catena di distribuzione dei contenuti dipende da una molteplicità di elementi, il settore deve collaborare per realizzare i cambiamenti necessari. Mentre ancora assistiamo agli effetti della pandemia, il bisogno di collaborazione e cooperazione fra le imprese del settore è più sentito che mai. Una delle operazioni intraprese da Sony per affrontare la situazione è il lancio della sua campagna online interattiva, Rewrite the Future. Con un programma di contenuti ed eventi online predisposti da Sony e altre imprese del settore, la campagna si rivolge specificamente ai broadcaster per illustrare loro come adattarsi alle trasformazioni dovute alle nuove tecnologie, alle nuove aspettative del pubblico e alla pandemia.