Cos’era lo Showcase della Saatchi&Saatchi se non la succinta metafora dello spirito stesso del Festival di Cannes? Ma quest’anno somiglia di più a una resa. Giovanni Pagano ha seguito anche quest’anno il New Directors’ Showcase e lo commenta per Brand News.
Che stia succedendo qualcosa, credo sia consapevolezza diffusa. Ma cosa? Quello che si vede o quello che c’è sotto? Per esempio: Cannes quest’anno è davvero così perché infuria il virus, o il virus sta solo magnificando le crepe che un magma montante sta delineando in modo sempre meno comprimibile? Ci sarà più un Festival della Comunicazione come prima? Lo dico da profondo ammiratore della kermesse, che anno dopo anno ha visto sfavillanti toppe cercare di rabberciare con apparente successo ferite sempre più vistose. E oggi mi rivolgo speranzoso proprio al più vitale dei miei totem: l’immancabile, fertile e osannato Saatchi&Saatchi Showcase.
Uhm. Guardo con sospetto la durata dell’edizione di quest’anno: un’esigua mezz’oretta al posto dell’appetitosa ora e mezza che ci ha regolarmente frastornato per anni e anni. Ecco, 30 anni per la precisione, come pomposamente e britannicamente recita l’incipit agognato: “Celebrating 3 decades etc etc”. E cosa ti partorisce questa trentennale montagna di brividi puri ed emozioni vere? Il topolino di una stringatissima selezione di 10 (10!) filmati storici tratti dalle puntate precedenti. Né più né meno un compitino doveroso e ben fatto.
Godibilissimo, per carità: una specie di viaggio (breve) nel tempo. Ma mentre mi lascio andare alla commozione rivedendo l’indimenticabile spot Levi’s di Michel Gondry del 1995 (sì, quello che raccontava l’invenzione del taschino anteriore dei jeans, “abusato sin da allora” per contenere i preservativi acquistati ahimé proprio dal papà della fidanzatina), mi sale un’inquietudine difficile da mettere a fuoco: c’è in tutto ciò qualcosa che dovremmo capire?
Perché infine cos’era lo Showcase della Saatchi&Saatchi se non la succinta metafora dello spirito stesso del Festival di Cannes? L’Agenzia di grido che si fa carico della continua infinita ricerca del Graal dell’ispirazione geniale: un’impegno da far tremare i polsi, e insieme un prezioso servizio reso alla comunità creativa. Ma anche in nuce, condensato in quell’imperdibile ora e mezza annuale, lo scopo nobile del Festival (aldilà di altri meno nobili e più remunerativi): presentare il futuro del talento.
Uhm. Certo, sorrido a rivedere lo scimmione Cadbury’s del 2008 aspettare concentrato le note di “In the air tonight” per attaccare infine adrenalinico con la sua batteria, ma tutto questo è già passato, e per di più remoto. Non è più la coraggiosa e stimolante mission della Saatchi&Saatchi, né quella del Festival della Creatività di Cannes.
E lo spassoso filmato ‘Rollin’ wild’ di Kyra e Constantin del 2014, dove un improbabile coccodrillo sferico non riesce a ghermire al ralenti gli improbabili fenicotteri sferici che lo circondano nella palude, non fa che dilatare in slow motion i miei dubbi: questo non è più quello che accadrà domani, ma è quello che è accaduto fino a oggi. Somiglia a una resa: “Ecco, guardate cosa abbiamo fatto per voi fino a oggi: è tutto”. Non è una lista di seducenti e ispirate novità, sono dei titoli di coda.
Magari non è così: magari sin da oggi il Saatchi&Saatchi Showcase Department è al lavoro per scovare in tutto il mondo le ultime covate di genio da presentarci orgogliosamente l’anno prossimo, quando il Festival riprenderà il suo cammino e il suo ruolo più sfavillante che mai.
Magari è davvero solo colpa di questo maledetto virus e tutto riprenderà come prima.
Magari andrà tutto bene, no?
di Giovanni Pagano